Una guerra a bassa intensità è scoppiata su tutti i fronti del governo gialloverde: c’è il decreto sicurezza dove la rivolta contro il fiore all’occhiello di Salvini in vista delle europee 2019 è guidata da quattro senatori M5S ammutinati (Gregorio De Falco, Elena Fattori, Paola Nugnes, Matteo Mantero). Il decreto fiscale, quello del memorabile complotto della «manina», dove l’incendio non è affatto spento. La presidente della commissione Finanze della Camera Carla Ruocco ha messo sul tavolo le sue condizioni, insieme a Elio Lannutti al Senato, «Dovrà essere modificato – dicono – Molte disposizioni sono contrari ai nostri valori contro le pratiche evasive ed elusive». Una bomba atomica nella maggioranza dopo la sceneggiata di Di Maio. Il vicepresidente del Consiglio pentastellato è dovuto intervenire per evitare che Salvini vedesse rosso e caricasse a testa bassa. «La questione è che non si possono intrufolare nuove manine nel decreto» ha detto Di Maio. Dunque, otto sanatorie e il condono bastano e avanzano, per il momento. C’è poi il condono edilizio per le case terremotate di Ischia, previsto dal decreto Genova, e voluto dal Movimento 5 stelle. Questo al netto della serissima questione sulle grandi opere che vedono cedere, di giorno in giorno, i Cinque Stelle su tutti i fronti. Il Tap, forse tra poco il Tav.

E, DA IERI, C’È ANCHE un problema di linea sulle banche. Se lo spread continuerà a salire, mentre il governo scaglierà il suo treno contro quello in corsa dei gendarmi dei conti di Bruxelles, il rischio è bruciare il valore del risparmio, facendo ballare l’equilibrio bancario. Lo scontro tra i dioscuri Salvini e Di Maio a suon di dichiarazioni contrapposte che si snodano ora dopo ora è sulla gestione delle eventuali conseguenze non tanto nel caso di una rottura con la Commissione Ue (l’esecutivo sostiene di essere unito, per il momento), ma delle decisioni del tribunale finanziario: i «mercati».

LE DISTANZE IERI sembravano notevoli nel teatro delle ombre di Palazzo Chigi. Salvini ha sostenuto che «nessuna banca salterà quindi se qualcuno pensa di speculare sulla pelle dei risparmiatori e degli italiani, sappia che c’è un governo e c’è un paese pronto a difendere le sue imprese, le sue banche e la sua economia, costi quel che costi». Di Maio la pensa all’opposto: «Siamo vicini alle banche ma non ci metto un euro degli italiani. Ce ne abbiamo già messi troppi in questi anni». Una posizione che ha cercato di rimediare a un’altra uscita, di segno opposto, fatta ieri dal viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia (Lega): «Le banche sono parte del sistema e finanziano le famiglie e soprattutto le imprese, ove mai ci fosse una necessità bisogna intervenire in maniera rapida, veloce ed efficace, ma speriamo non ce ne sia il bisogno».

A SMENTIRE DI MAIO è stato il ministro dell’Economia Giovanni Tria. In caso di crisi delle banche «il governo deve in un modo o nell’altro intervenire, dire come non è possibile, se un ministro lo facesse turberebbe il mercato». Per Tria «non c’è nulla di strano nel dire interverremo, qualunque governo dovrebbe farlo. È giusto che lo Stato intervenga». L’orientamento è chiaro. Il problema, non da poco, è che al momento non è d’accordo Di Maio. A quest’ultimo Tria ha lanciato un’altra bordata. La scenata su Draghi (parzialmente rientrata) non gli è piaciuta: «Draghi ha detto la realtà. Non ha detto niente di strano. È chiaro che lo spread a questo livello è dannoso».

COPRIRE, O NON COPRIRE, con i soldi pubblici le banche colpite dai contraccolpi della crisi? Lo scenario è, al momento, remoto, ma le sciabolate si vedono, e si sentono. Il campo è già stato abbondantemente arato dagli scontri in questi primissimi mesi di una legislatura improvvisata. Sulla sicurezza lo scontro è tra la «sinistra» a Cinque Stelle capitanata dal presidente della Camera Roberto Fico e l’offensiva securitaria anti-migranti di Salvini. Nell’incredibile pasticcio sul decreto fiscale è a rischio la bandiera della «legalità» che ha fatto le fortune elettorali di un movimento tanto forte elettoralmente, quanto debole nella tenuta politica, oltre che nella tattica con un alleato-avversario abituato a pacchi, paccotti e contropaccotti. I Cinque stelle sono al corrente di condividere un governo con chi propone il loro contrario. E cercano di adattarsi sempre di più.