Per il Brasile democratico, ora è davvero allarme rosso. Proprio nel momento in cui per Jair Bolsonaro la corsa verso la presidenza sembrava essersi arrestata, sotto la duplice spinta dell’offensiva delle donne e di un rapido e consistente trasferimento di voti da Lula a Fernando Haddad, il candidato dell’estrema destra è tornato a crescere nei sondaggi.

E lo ha fatto, a sorpresa, dopo l’enorme successo della mobilitazione che il 29 settembre ha unito, al grido «Ele não! Ele nunca!», donne, gruppi Lgbt e i cittadini preoccupati per l’avanzata dell’estrema destra.

Già il primo ottobre il sondaggio dell’Ibope aveva mostrato Bolsonaro in crescita dal 27% al 31% e Haddad stabile al 21%, segnalando un forte incremento del numero di elettori decisi a non votare in nessuna circostanza per il candidato di Lula (dal 27 al 38%). La conferma, tuttavia, è arrivata martedì dal sondaggio dell’istituto Datafolha, che ha assegnato a Bolsonaro il 32% contro il 21% di Haddad, indicando un pareggio tecnico al ballottaggio.

C’è chi punta il dito contro l’oceanica manifestazione delle donne, che avrebbe spinto Edir Macedo, il fondatore della potente Chiesa Universale del Regno di Dio, e gli altri leader neopentecostali a mobilitarsi a favore di Bolsonaro, in quanto difensore della famiglia tradizionale.

Ma la realtà è che, a pochi giorni dal voto, le forze golpiste, con il Gruppo Globo in testa, stanno puntando contro Haddad tutte le armi a loro disposizione. E a lanciare loro un preziosissimo assist ci ha pensato al solito il giudice Sérgio Moro che, entrando a gamba tesa nel processo elettorale, ha deciso proprio ora di rendere pubbliche le denunce rivolte contro Lula dal suo ex ministro dell’Economia Antonio Palocci, malgrado la sua deposizione sia stata respinta dal pubblico ministero per mancanza di prove.

Dal canto suo, il presidente del Supremo tribunale federale Antonio Días Toffoli ha vietato a Lula di rilasciare interviste ai giornalisti nel comando di polizia di Curitiba, dando così ragione al giudice Luiz Fux: con una decisione senza precedenti, aveva annullato l’autorizzazione data da un altro magistrato della Corte suprema, Ricardo Lewandowski.

E se una conseguenza della censura mediatica è che il 23% della popolazione ancora non sa che Haddad è stato indicato da Lula come proprio candidato, la sfida per il Pt non può che essere quella di convincere le fasce popolari dell’enorme rischio sociale ed economico rappresentato dalla candidatura di Bolsonaro, il cui programma di governo sarebbe più o meno lo stesso di quello dell’impopolarissimo Temer, ma condito in salsa fascista.