Dopo settimane di intense trattative, e una spola continua di negoziatori tra Londra e Belfast, è stato raggiunto l’accordo per la nascita del governo conservatore di minoranza in Gran Bretagna, che vedrà la luce proprio grazie all’appoggio esterno dagli oltranzisti del Dup nordirlandese.

Ad annunciarlo nella capitale inglese, le due leader protagoniste della stretta di mano, Arlene Foster, a capo del partito unionista, e la premier Theresa May, affiancate dai principali negoziatori, Jeffrey Donaldson per il Dup e Gavin Williamson per i Tories.

L’accordo è condizionato a una serie di punti resi pubblici oggi sul sito del governo. Fondamentale il considerevole aumento (mille milioni di sterline in due anni) di investimenti che dalle casse del tesoro centrale si riverseranno in quelle dell’Irlanda del Nord. Le voci principali di spesa saranno le infrastrutture, la banda larga, la sanità, l’istruzione, e i sussidi alla povertà. Viene poi sancita una piattaforma che riguarda il trattamento di soldati e veterani dell’esercito inglese – anche quelli implicati in crimini di guerra durante i decenni del conflitto – che sa molto di impunità.

Dal punto di vista strettamente politico l’accordo, che nasce secondo Foster nell’interesse dell’intera popolazione dell’Irlanda del Nord, si fonda su un rafforzamento dell’Unione; rafforzamento che però appare in contraddizione con il trattamento speciale, dovuto a logiche puramente partitiche, che starebbe per ricevere l’Irlanda del Nord rispetto al Galles e alla Scozia.

L’aumento cospicuo dei fondi da devolvere al governo di Belfast ha infatti richiamato immediatamente le rivendicazioni di Scozia e Galles. A Edimburgo la leader dello Scottish National Party Nicola Sturgeon parla di un «accordo sporco», e del fatto che i conservatori scozzesi non sembrano avere alcuna influenza nelle decisioni della premier. Il primo ministro gallese, invece, Carwyn Jones ha parlato senza mezzi termini di una «bustarella» elargita dal governo inglese ai nordirlandesi, che rischia di minare proprio i «legami economici e culturali tra l’Inghilterra, l’Irlanda del Nord, la Scozia e il Galles». Ha poi aggiunto che si tratta di una mossa politica «oltraggiosa».

L’annuncio arriva a pochi giorni dalla scadenza per il raggiungimento di un altro accordo, quello per la riesumazione del governo misto repubblicani-unionisti in Nord Irlanda, governo che nonostante l’esito chiaro delle elezioni tenutesi a marzo, con i due partiti maggiori, il Dup e lo Sinn Féin, che hanno ottenuto la stragrande maggioranza dei consensi, non si è mai formato per i veti reciproci.

Con la nascita del governo britannico, con la pubblicazione nero su bianco dell’accordo tra le due formazioni, partiti che molti commentatori ritengono troppo distanti perché l’accordo abbia lunga vita, ma soprattutto forte dell’aumento sostanzioso degli investimenti del governo centrale – che vorrebbero bilanciare la perdita di fondi europei dovuti alla Brexit – Arlene Foster spera di riuscire a ottenere anche la fiducia di Sinn Féin per il ritorno alla condivisione del potere. La leadership repubblicana tuttavia tarda a esprimersi, forse perché alle strette, data l’entità dell’accordo economico, e un’opposizione estrema al ritorno del power-sharing potrebbe esser vista come spinto da interessi di partito e non generali.

Tutto fa pensare che le negoziazioni per la rinascita del governo condiviso in vista della scadenza di giovedì siano tutt’altro che in discesa.