Alberto Burri realizza le sue prime composizioni di grande formato tra il 1952 e il 1955. Al 1952 risalgono il Grande sacco della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e il Grande sacco della Collezione Modugno (entrambi 150×250 centimetri). Così come si può in proposito citare Sacco del 1953 che misura 130×181 centimetri. E Nero SC3 del 1954, 131×116 centimetri.

Ancora del 1954 è il Grande Sacco (un metro e mezzo di altezza per due metri e mezzo di base) nella Collection Philippe Dotremont a Bruxelles. E poi Nero bianco nero, della stessa misura, che è del 1955. È opportuno ricordare che le prime prove di Burri datate all’anno 1948, invariabilmente intitolate Composizione, non superano le misure che cadono tra i venticinque e gli ottanta centimetri. Dal 1949, pur nella continuità dei formati e della costante ricerca compositiva, variano invece i titoli. Come se Burri stesse cercando una dimensione ove adeguatamente indicare consonanze e corrispondenze al suo lavoro pittorico, enfatizzando a protagonista la ‘materia’ impiegata: Catrame, Muffa, Faesite, Tempera su tela di sacco, Nero con fili.

Una dimensione evocativa della purezza dei materiali impiegati, esaltata per via di pittura e per via di pittura restituita intatta e resa assoluta. E vale anche per i numerosi Nero, Bianco e Nero bianco dove senti che la designazione del colore quasi è chiamata a dar conto del pigmento impiegato, della tinta, della vernice più che della valenza cromatica realizzata. O, meglio, il valore cromatico risiede, sembra dire Burri, nel pigmento puro che impone d’esser impaginato, composto nel rispetto della sua integrità materica.

Una convinzione che Burri esplicita da allora costantemente come testimoniano gli assai eloquenti titoli quali Sacco e oro (1953) Sacco e nero (1954) Legno e bianco 1 (1956) Combustione Legno e Nero (1956) Rosso Combustione Plastica (1957) che pongono su un medesimo piano colori e materiali. Questo scavo ‘compositivo’ connesso alla magnificazione dei materiali e alla celebrazione della materialità del colore, si diceva, è l’impegno costante e maggiore di Burri fin dagli esordi e dura permanente nel corso degli anni a qualificare il complesso dell’opera sua. Ma si diceva dei formati al di sotto di un metro per un metro ai quali Burri si attiene dal 1948 e che resteranno comunque nella sua produzione anche quando egli si applicherà alla realizzazione dei Legni, dei Ferri, delle Combustioni e delle Plastiche.

Mi si può chiedere che rilevanza possa avere dare un così insistito rilievo al formato quando si prende in considerazione un’opera di pittura. Cerco di rispondere. Dico che il formato, da un lato, accoglie e circoscrive le relazioni degli spazi intrinseci all’opera, costitutivi delle sue calibrature interne; e, dall’altro lato, stabilisce le coordinate spaziali che quell’opera istituisce in rapporto all’ambiente, al ‘sito’ là dove l’opera è collocata. Nel formato risiedono i vincoli che conferiscono la sua propria spazialità a quella determinata pittura. Vincoli intendo dire, nel senso delle calcolate rispondenze che l’autore ha deciso quando dirime le alternative possibili e dispone, ovvero compone l’opera. È che ogni singola opera di pittura non solo detiene, ma conferisce la sua misura. Istituisce cioè il suo spazio proprio determinando le dimensioni nuove del luogo che la accoglie.

Quell’ambiente che, dunque, si vien disponendo, fino ad assumere le nuove equivalenze, le conformità che conseguono alle prescrizioni che l’ordine degli spazi interni all’opera impone alla dimensione dello spazio che la accoglie. È questo lo spazio effettivo nel quale pure viene a trovarsi, di fronte all’opera, l’osservatore.

L’osservatore che aveva meditato la lezione di Burri e che aveva delibato gli incanti della iuta e i segreti dei catrami contemplandoli nei formati ridotti, ora, innanzi a quei medesimi costrutti e moduli pittorici realizzati in grandi dimensioni, sente vietata la contemplazione e avverte invece i turbamenti di chi è spiazzato da un gioco di proporzioni che eccedono la sua misura.

Se dominava la Combustione del 1957 nel piccolo formato (25×35 centimetri), è ora dominato dai due metri per due del Grande rosso Plastica del 1962 della Galleria Marlborough.