«Dovremmo cambiare il nome in Spinal Tap». Lo scorso 19 maggio Roger Waters ha sorpreso tutti i fan dei Pink Floyd con questa dichiarazione un po’ paradossale in cui suggeriva, stante la continua ruggine che esiste tra lui e David Gilmour, di cambiare il nome di una delle più celebrate formazioni della storia del rock in quella della band-parodia nata da un film di culto del 1984. Il vecchio Roger si lamenta del fatto che l’ex compagno ed ex amico David oggi sia il padre-padrone del marchio Pink Floyd e non dia nessuna visibilità sui profili web e social ufficiali del gruppo a quanto stiano facendo lui e Nick Mason, gli altri due membri sopravvissuti del complesso. Anche Waters si rende conto che questo diverbio tra primedonne del rock ormai ultra-settantenni in effetti è proprio degno di una parodia. Per chi non se li ricordasse, gli Spinal Tap sono un prodotto della fantasia del regista e sceneggiatore Rob Reiner che decise di girare un documentario del tutto fittizio su una rock band altrettanto fittizia, prendendosi gioco di tutti i comportamenti sopra le righe che ormai facevano parte della quotidianità della scena musicale. Il tempismo del film, intitolato This is Spinal Tap, fu formidabile. Negli anni Ottanta le grandi band storiche erano o sciolte o sembravano passate di moda e la scena si stava saturando di formazioni che latitavano di talento, ma eccedevano in lacca per capelli e celebravano in maniera parossistica tutti gli stereotipi dello star system. Gli Spinal Tap erano un quintetto di heavy metal inglese a cui stava sfuggendo il successo composto da David St. Hubbins (l’attore Michael McKean), Nigel Tufnel (Christopher Guest), Derek Smalls (Harry Shearer), da un tastierista virtualmente anonimo e da una serie di batteristi destinati, letteralmente, a una vita breve. Il film finto-documentario fu un grande successo di critica, diede l’inizio al genere del mockumentary ed è diventato nel tempo un classico, rispettato quasi religiosamente dai musicisti rock che si sono spesso rispecchiati nelle disavventure di questa band barzelletta.

SCENE DI CULTO
L’aneddotica del rock in effetti è piena di storie autentiche che oggi vengono definite «Spinal Tap Moments»: gaffe colossali in pubblico, imbarazzanti trucchi scenici, roboanti dichiarazioni alla stampa, costumi e pettinature goffe, ridicole e fallimentari attestazioni di grandeur, litigi e imprevisti drammatici ed esilaranti. Quasi tutte le scene di culto del film hanno un corrispettivo, antecedente o successivo, nella realtà.
Nella finzione cinematografica i protagonisti si sono convertiti all’hard rock, alle catene e agli abiti in pelle dopo essere nati negli anni Sessanta come band folk, dopo aver cambiato nome una miriade di volte e dopo aver indossato camicie a fiori per proporsi come gruppo pop. Reggerebbero il confronto con uno dei miti della musica metal, Ronnie James Dio che prima di diventare leader dei Rainbow e una delle voci più riconosciute di un genere, militò in diversi complessi di pop melodico tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Ai tempi il suo idolo era il tenore Mario Lanza. Come Ronnie Dio & The Prophets incise anche una canzone di melodia italiana dal titolo Che tristezza senza te. I continui cambiamenti di nome ricordano invece le vicissitudini dello storico gruppo che per vari motivi si battezzò The Crackers, poi The Honkies poi ancora The Hawks, alla fine, forse per stanchezza, decise di farsi chiamare semplicemente The Band.
Nel film, i membri degli Spinal Tap si lamentano di una stroncatura di una rivista musicale che aveva recensito un loro album, Shark Sandwich, usando solo due parole: «Shit Sandwich!». È accaduto nella realtà più volte. In alcuni casi i critici si sono limitati anche a una sola parola. Nel 1973 Melody Maker recensì Tales from Topographic Oceans degli Yes scrivendo: «No». NME salutò il disco dei Def Leppard Yeah! con tre lettere: «Nah!». Destino simile per l’inascoltabile secondo album degli Happy Mondays, Yes Please!, che sempre Melody Maker accolse generosamente con un »No, grazie!».

CORRIDOI LABIRINTICI
Ma le parti più divertenti del mockumentary sono senza dubbio le disavventure sul palco del quintetto, qui la realtà però è andata oltre la fantasia di Rob Reiner. Se gli Spinal Tap si perdono in un labirinto di corridoi prima di un’esibizione, i Mötley Crüe fecero altrettanto: usciti dai camerini si trovarono davanti una porta sbarrata e dovettero tornare indietro per salire sulla scena da un’altra parte. Il pubblico stava già ascoltando l’intro che doveva dare il via allo show e luci ed effetti sonori della prima canzone in programma vennero trasmessi a palco completamente vuoto. Accadde una cosa simile, ma per ragioni diverse, anche a un perfezionista come Bruce Springsteen e alla sua formidabile E-Street Band. Nello stadio di Pittsburgh, nel corso del tour del 1985, il Boss uscì sulla scena e diede l’uno-due-tre per far partire le note di Born in the U.S.A.. Peccato che il chitarrista Nils Lofgren e il tastierista Roy Bittan non fossero saliti con lui sul palco. Non si erano smarriti, ma erano impegnati in una combattutissima partita di ping-pong. «Vidi sessantamila facce passare dall’ “oooh” all’“ooh, merda” – ha ricordato Springsteen nella sua autobiografia -, mentre me ne stavo con le braghe metaforicamente calate a sperimentare uno dei momenti più imbarazzanti della storia. I tavoli da ping-pong vennero banditi per anni, i responsabili l’avrebbero pagata cara». Nel 1997 toccò agli U2 fare un figuraccia quando alla conclusione di un concerto in Norvegia la scenografia del loro Pop Mart Tour li tradì appena prima di tornare davanti al pubblico per i bis. Sul palco un gigantesco limone da cui dovevano uscire si bloccò, tenendoli prigionieri per diversi minuti e costringendoli a un’uscita dal retro e a un ritorno in scena assai meno spettacolare del previsto. Adele ha confessato che, nel corso di un tour in cui si esibiva con una scena completamente circondata dal pubblico, per non farsi vedere dai fan nel tragitto dai camerini al palco, si faceva trasportare verso la ribalta rinchiusa in una cassa per gli strumenti che veniva poi infilata sotto la scena e da cui veniva liberata per poi presentarsi davanti ai riflettori. La sorpresa era assicurata. Ma spesso per motivi tecnici dopo essere stata chiusa nella cassa il suo spostamento veniva ritardato di qualche minuto, l’attesa, oltre ad essere inquietante, era anche soffocante. Ha rivelato la star: «Salivo sul palco ed ero fradicia di sudore». A Brian May, chitarrista dei Queen andò anche peggio. Nel corso di uno dei tour con Paul Rodgers alla voce, il palco aveva un piano che si alzava e si abbassava consentendo al cantante di comparire in un gioco di luci e fumi. May fece un passo indietro di troppo cadendo nel buco sulla scena proprio quando il montacarichi si stava muovendo. In pochi secondi i tecnici lo salvarono prima che rimanesse schiacciato dal marchingegno. Il chitarrista rischiò la vita, ma non smise mai di suonare. «È stato un vero soldato – ha commentato Paul Rodgers – non si perse neppure una nota». Ancora più stoico Dave Grohl che nell’estate del 2015 dopo aver suonato solo due canzoni in un concerto a Göteborg in Svezia cadde rovinosamente dal palco, rompendosi una gamba. Si fece portare all’ospedale, non prima di aver detto al pubblico: «Vi assicuro che finirò questo concerto». Un’ora dopo ritornò sulla scena con il gesso e suonò per più di due ore.

ATTENTI AI PANTALONI
A volte qualcosa va storto con il guardaroba. Se il bassista degli Spinal Tap «indossa» un cetriolo per dare più risalto alla propria virilità, c’è chi involontariamente l’ha esibita. Come Tommy Shaw degli Styx che durante uno show a Las Vegas si accorse che una donna nella prima fila stava cercando di attirare la sua attenzione. La spettatrice non era in cerca di uno sguardo del suo idolo, ma stava avvertendo il cantante che i suoi pantaloni di cuoio si erano strappati proprio sul davanti. Tommy corse nel backstage e provvide a un rammendo d’emergenza con il nastro adesivo. I pantaloni in pelle, soprattutto se indossati senza biancheria intima, possono essere traditori. Ne sa qualcosa anche Lenny Kravitz incappato nello stesso incidente di Shaw nel 2015 a Stoccolma. Purtroppo per lui però dell’infortunio esiste anche una documentazione video. Ma gli «incidenti di guardaroba» riguardano pure le interpreti femminili. Janet Jackson si fece involontariamente scoprire il seno da Justin Timberlake in diretta nazionale durante il concerto nell’intervallo del Superbowl 2004, un episodio che sollecitò tutta l’ipocrisia puritana d’America e venne ribattezzato «nipplegate» (nipple significa capezzolo). Laura Pausini a Lima nel 2014 si accorse che la vestaglia che indossava si era aperta proprio sul davanti. La cantante si ricompose nell’abbigliamento, ma non si scompose nel comportamento e reagì con la battuta, ormai quasi storica: «Yo la tengo como todas».
Chi sale sul palco spesso si crede adorato e invincibile, a volte è così, altre volte no ed è un problema se si decide di fare «stage diving», cioè di saltare dalla scena al pubblico con la convinzione che gli spettatori si compattino per attutire la caduta. Ne sa qualcosa lo sciagurato rapper George Watsky che nel corso della data londinese del Warped Tour del 2013 salì sull’impianto luci e, credendosi Superman, si gettò sul pubblico da quasi 10 metri di altezza sperando in un atterraggio morbido su un soffice cuscino umano. Il pubblicò si scansò, ma Watsky travolse comunque tre innocenti spettatori. Il bilancio fu tutto sommato positivo: un braccio rotto e tre ricoveri in ospedale, tra cui il rapper, solo per accertamenti. Certi artisti dovrebbero lasciar perdere del tutto lo stage diving. Il cantante italiano Cosmo ci ha provato al Concertone del 1° Maggio del 2018, ma ha solo sperimentato quanto fosse duro l’asfalto di Piazza San Giovanni.

LISTE DETTAGLIATE
Non esiste solo il palco, ma ci sono anche i camerini. Anche qui i divi, nella finzione come nella realtà, si fanno notare. Se gli Spinal Tap si lamentano della scarsa dimensione del pane per fare i sandwich e del ripieno delle olive del loro buffet, le richieste delle vere rockstar per l’accoglienza nel backstage sono ormai diventate oggetto di una propria epica. I Beatles richiedevano solamente una televisione e alcune bottiglie di Coca-Cola, i Van Halen per il loro tour del 1982 avevano predisposto un vero e proprio manuale con una lista dettagliatissima in cui comparivano tra gli altri: una cassa di birra Budweiser, 4 casse di Schlitz Malt Liquor, bottiglie di Jack Daniels e Southern Comfort, un vino bianco dell’etichetta Blue Nun terrore di tutti i sommelier, una confezione large di lubrificante intimo e un vaso di M&M’s da cui dovevano essere assolutamente tolti tutti quelli di colore marrone. Era una trappola più che una boutade, nel contratto la band aveva messo la clausola degli M&M’s come vincolante allo svolgimento dello show. Era un modo, spiegherà David Lee Roth, per valutare, guardando solo il vaso delle noccioline colorate, se gli organizzatori del concerto avevano letto tutto il contratto. Da quel momento in poi le richieste più folli divennero la regola. Iggy Pop una volta richiese la presenza di sette nani e una larga selezione di pizze da donare agli homeless, i Mötley Crüe un boa constrictor non meno lungo di 4 metri, un machete e una pistola con il silenziatore, i Goldfrapp una frusta rigorosamente in cuoio e non in plastica, Kanye West un cuoco personale per cucinare cibo organico per la figlia, Jennifer Lopez del caffè rimescolato solo in senso anti-orario.
Un altro esilarante episodio del film di Rob Reiner è quello che riguarda l’assai poco atteso nuovo album degli Spinal Tap Smell the Glove («Annusa il guanto»); la casa discografica della band decide di bandire la copertina che non viene mostrata, ma ci viene descritta come un’oscena immagine di una donna al guinzaglio. Era la presa in giro di tante copertine sessiste e volgari che all’epoca venivano usate per vendere i dischi. Qui la realtà ha sorpassato di gran lunga la parodia. Nel 1984 la band degli W.A.S.P. ebbe la bella idea di ristampare come singolo una canzone che era stata censurata dalla prima edizione del loro album di esordio, intitolata elegantemente Animal (Fuck Like a Beast). La copertina con un perizoma tigrato da cui spunta una sega circolare era così insensata, volgare e pacchiana da meritare solo l’oblio. Invece no, un movimento di integerrime mamme americane guidato da Tipper Gore, moglie dell’allora senatore e futuro vice presidente Al Gore, si scagliò contro il disco in una donchisciottesca crociata per fermare la volgarità nel rock. Ridicolo nel ridicolo, l’immagine oscena venne esibita da una senatrice repubblicana in una gigantografia durante un’audizione al Senato degli Stati Uniti, regalandole istantanea fama e imperitura memoria. Inutile dire che sul web oggi esistono tante ricostruzioni della copertina dell’inesistente album Smell the Glove degli Spinal Tap che molto probabilmente è stata l’ispirazione della cover dell’album di esordio degli Strokes Is This It del 2001, dove compaiono un nudo femminile di profilo e una mano guantata di nero. Vale la pena ricordare, in un’altra comica sovrapposizione tra realtà e satira, che l’immagine fu comunque ritenuta troppo forte per il mercato americano, dove il disco uscì con una copertina innocua.

PARENTI SERPENTI
Gli Spinal Tap si distinguono per i continui litigi anche sul palco e per gli incalcolabili cambi di formazione. Anche qui nulla di troppo lontano dai fatti. La litigiosità ha contraddistinto band storiche come Queen, Cream, Oasis, Dinosaur Jr. I membri dei Kinks arrivarono ad armarsi di coltello per difendersi tra loro e a prendersi a pugni durante un concerto del 1965. Il chitarrista Dave Davies rimase esanime sul palco, il batterista scappò pensando di averlo ucciso. Gli Eagles si minacciarono a vicenda durante un’esibizione del 1980, promettendosi tra una canzone e l’altra di darsele di santa ragione alla fine dello show. La band si sciolse dichiarando che si sarebbe riunita solo quando l’inferno si sarebbe ghiacciato. Ovviamente tornarono insieme, pubblicando un live dal titolo Hell Freezes Over («L’inferno è ghiacciato»). Ci vogliono delle mappe per riuscire a ricostruire tutte le line up di band come Lynyrd Skynyrd, Deep Purple o Black Flag. Per gruppi come King Crimson o Fleetwood Mac è forse anche inutile provare. Persino la maledizione del batterista da cui è afflitto il gruppo nel film ha un parallelismo tragico con la realtà: quattro dei sei tastieristi dei Grateful Dead sono morti nel corso della loro militanza nel gruppo.
In fin dei conti gli Spinal Tap erano un prodotto della finzione così esagerato da essere più autentico dell’autentico, anche per questo gli attori hanno deciso di impersonare i loro personaggi in diversi tour e hanno realizzato due album di brani originali l’ultimo dei quali Back from the Dead è uscito nel 2009 ed è stato presentato anche sul palco del festival di Glastonbury. Ma la loro missione forse non è finita: il capitolo finale potrebbe essere fare causa ai Pink Floyd per avere tentato di usurpare il loro nome.