Svuotare il centro di accoglienza migranti di Bologna. Lo chiedono Cgil, Cisl e Uil, la sinistra cittadina e per l’ennesima volta le associazioni e gli avvocati che difendono i migranti. Da ieri lo chiede anche il Comune di Bologna, che alla Prefettura domanda soluzioni per evitare l’esplosione di un nuovo focolaio di Coronavirus.

Il perché della richiesta di svuotamento di un centro dove da mesi sono parcheggiate 200 persone lo hanno reso evidente i tracciatori dell’Ausl, che da giorni si stanno occupando di monitorare e contenere il Covid19 dopo la sua diffusione nei magazzini della società di logistica Bartolini. Tra i 79 facchini trovati positivi al Covid (in tutto tra autisti, parenti e conoscenti sono 107 i casi nel focolaio) ne sono stati scoperti due che fuori dall’orario di lavoro sono ospitati nel grande centro di accoglienza bolognese. Nella struttura l’Ausl ha ordinato test a tappeto, scovato 10 positivi già trasferiti altrove, e messo in isolamento altri 27 migranti.

Le linee di diffusione del virus hanno già reso evidente quello che alcuni denunciavano in pieno lockdown. Il virus rischia di colpire, e di fatto sta colpendo, prima di tutto gli sfruttati della logistica, al 90% lavoratori stranieri, spesso migranti richiedenti asilo. In una lettera diffusa a inizio marzo il Coordinamento migranti di Bologna scriveva così: «L’invito a rimanere ognuno nelle proprie abitazioni è del tutto incoerente rispetto ad una struttura in cui le persone sono costrette a convivere in assembramenti». Non è cambiato molto. «Dormono anche in 8 nella stessa stanza», raccontava ieri un operatore del centro. La richiesta è quella di smistare tutti gli ospiti in strutture molto più piccole ma che permettono migliore accoglienza e maggiore distanziamento.

«Si tratta di persone che spesso lavorano nei magazzini della logistica, alcuni sono richiedenti asilo con contratti a chiamata da uno o due giorni», spiega l’avvocata dell’Associazione per gli Studi giuridici sull’immigrazione Nazzarena Zorzella. Racconta il Coordinamento migranti che anche ieri i richiedenti asilo, in attesa del risultato del tampone, sono andati al lavoro nel cuore logistico dell’Emilia-Romagna, quell’Interporto da 4 milioni di metri quadri che dista soli 20 km dal centro di Bologna.

Il sindacato Si Cobas intanto continua a segnalare casi di positività nel settore, dove le attività di facchinaggio sono esternalizzate al 95% allo scopo di tagliare diritti e salari. Per questo, e per evitare nuovi focolai, il sindacato di base chiede urgentemente un tavolo al Ministro dello Sviluppo economico Patuanelli. «L’ultimo migrante che si è rivolto a noi – dice Simone Carpeggiani dei Si Cobas – ci ha raccontato di turni di lavoro di 14 ore a fronte di un contratto part-time. Dopo essere finito in ospedale per colpa di un infortunio ha deciso di chiedere aiuto».