Il programma sulla «Garanzia giovani» alimenta il «business della disoccupazione giovanile» sostengono gli attivisti dei laboratori per lo sciopero sociale di venerdì 14 novembre che ieri hanno realizzato blitz a Roma, Trento, Bologna, Pisa, Padova e Torino. La campagna «#GarantiamociUnFuturo» nasce sulle ceneri di un progetto deludente. Secondo i dati diffusi ieri dal ministero del Lavoro, nelle ultime settimane sono cresciute le iscrizioni dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano, i cosiddetti «Neet» (283 mila), ma la possibilità di trovare un’occupazione precaria e a termine sotto forma di un appredistato o di un cocopro resta un miraggio.

I posti ad oggi disponibili sono 6945, le occasioni di lavoro attive 5125, la maggior parte dei quali concentrati nel Nord del paese (il 71,9%), mentre al Centro e al Sud la Garanzia giovani è un flop clamoroso: rispettivamente il 13,6% e il 14,4%. Nelle intenzioni del governo il programma avrebbe dovuto coinvolgere i giovani residenti al Sud. E la metà degli iscritti al programma sono infatti meridionali. Ma per loro pochissime offerte e ancor meno occasioni. Non va meglio in Lombardia o in Puglia gli iscritti sono il 10%.

Il dato indica la sfiducia assoluta in un programma che ambiva al ruolo di un’operazione pedagogica verso i giovani e sta crollando sotto il peso del suo paternalismo. L’analisi critica al programma sviluppata dagli «strikers», così amano chiamarsi i promotori dello sciopero sociale, è dettagliata. Occupando ieri gli uffici del centro per l’impiego della Provincia di Roma «Porta Futuro», una creatura cara al centrosinistra romano ispirata al modello catalano di «Puerta 22», gli attivisti hanno spiegato che la Garanzia giovani alimenterà il «business dell’accreditamento dei privati nella gestione dell’accompagnamento al lavoro». Presentando il programma lo scorso 13 maggio insieme al ministro Poletti e alla presidente della Camera Laura Boldrini, il presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti aveva previsto «una seconda vita per i centri per l’impiego» e l’adozione di una «governance a garanzia pubblica ma operatività privata». Considerati i dati a sei mesi dall’avvio, né l’una, né l’altra funzionano: «Lo stanziamento da un miliardo e mezzo di euro si tradurrà in guadagni per enti di formazione, agenzie interinali, associazione degli imprenditori – hanno denunciato ieri gli strikers – Siamo qui per denunciare le inadempienze e le responsabilità della Regione Lazio e del ministero del Lavoro».

Gli attivisti hanno avanzato precise richieste: trasparenza amministrativa sui fondi investiti sui tirocini (15 milioni nel Lazio); aumento del rimborso orario per i tirocini da 140 ore da 2,8 a 10 euro all’ora, arrivando a un minimo salariale europeo superiore di mille euro rispetto ai 392 euro attuali. Un rimborso da erogare mensilmente e non ogni due o tre mesi. Infine, la richiesta che il miliardo e mezzo della Garanzia giovani venga erogato direttamente, sotto forma di reddito di base, e non dirottato agli intermediari della formazione o del collocamento. I manifestanti hanno ottenuto un tavolo di confronto con la regione entro fine novembre. «Il piano europeo Youth Guarantee prevede la definizione di un’offerta formativa entro quattro mesi dalla stipula del patto di servizio con il centro dell’impiego – sostengono gli strikers – Il termine è scaduto, le offerte riguardano solo i tirocini, mentre le offerte di lavoro visibili riguardano le basse qualifichee sono quelle inserite dalle agenzie interinali».

Al Pala Alpitour di Torino ieri gli studenti e i precari hanno contestano il ministro Poletti impegnato in una conferenza nella manifestazione «Io lavoro». Gli attivisti hanno tentato di raggiungere il tavolo dei relatori. Sono stati fermati dalle forze dell’ordine. Poletti ha invitato a esporre le ragioni della protesta. «Il jobs act è una farsa – ha detto una studentessa-lavoratrice – il più delle volte lavoriamo sottopagati o gratis e questo ci rende più ricattabili mentre il jobs act ci renderà ancora più precari e senza garanzie». Poletti ha respinto l’accusa sostenendo che il governo è impegnato a abbassare la percentuale dell’85% dei contratti a tempo determinatocon il «contratto a tutele crescenti». Un provvedimento che per i movimenti aumenterà la precarietà. Gli attivisti hanno distribuito nella sala un volantino intitolato «Non siamo loro schiavi».