Potrebbe arrivare fino a 300 milioni di euro la cifra che Google, il colosso di Internet, sarebbe costretto a versare allo Stato italiano: la Guardia di finanza di Milano sta conducendo da tempo un’indagine, ormai portata a compimento, per conto della Procura. L’accusa sarebbe di frode fiscale: l’azienda statunitense avrebbe infatti svolto negli anni 2008-2013 un’«attività stabile» nel nostro Paese, con relativi incassi e guadagni, che però sarebbero stati ascritti al fisco irlandese, notoriamente meno esoso.

La cifra contestata verrebbe fuori da una somma di diversi tributi dovuti: 27 milioni di euro a titolo di Ires, pari al 27% di 100 milioni di ricavi registrati negli anni tra il 2009 e il 2013. Altri 200 milioni sarebbero imposte non versate all’Erario per royalties, i diritti sull’utilizzo di marchi e licenze commerciali.

Alla notifica dell’accertamento fiscale da parte di Procura e Guardia di finanza, seguirà il periodo in cui l’azienda di Mountain View potrà confrontarsi con l’Agenzia delle Entrate, ed eventualmente concordare una cifra diversa per “velocizzare” la pratica. All’invio dell’inchiesta, Google aveva detto già di essere disposta a pagare 114 milioni per il contenzioso relativo agli anni 2008-2012, specificando però che lo avrebbe fatto solo allo «scopo di evitare un potenziale, lungo e defatigante confronto con l’amministrazione finanziaria» e senza che questo implicasse automaticamente «alcuna accettazione» di «una presunta erroneità e incongruità» nel proprio operato.

Più avanti, quando la cifra contestata era via via cresciuta, l’azienda si sarebbe spinta a offrire cifre tra i 150 e i 200 milioni di euro. Ieri l’autodifesa dell’azienda ha giocato sul tono della collaborazione: «Google rispetta le normative fiscali in tutti i Paesi in cui opera. Continuiamo a lavorare con le autorità competenti», ha dichiarato la multinazionale statunitense.

L’eventuale chiusura concordata potrebbe portare al pagamento di una cifra compresa tra i 220 e i 270 milioni di euro, ma se non si trovasse un accordo, la cifra iniziale di 300 milioni potrebbe addirittura lievitare, gravata da penali e interessi.

L’Italia non è nuova a cause di questo genere con le multinazionali, sempre più diffuse ormai in tutta Europa. A fine dicembre l’Agenzia delle Entrate era riuscita a farsi staccare un assegno da 318 milioni da parte della Apple: negoziazione che aveva sacrificato oltre 500 milioni di euro di possibili ulteriori introiti, visto che l’Ires contestata al colosso hi tech era pari a circa 879 milioni di euro.

E tornando a Google, il governo inglese è stato coperto di polemiche in questi giorni per aver concluso un concordato per il pagamento di 130 milioni di sterline, ma a fronte di un imponibile molto sostanzioso, pari a circa 4 miliardi di sterline, e in conseguenza tale da far pensare a cifre ben più alte da destinare al fisco.

Stessa musica per la Francia, dove pare che il contenzioso ammonti a circa 500 milioni di euro. Tutti dati snocciolati ieri dal quotidiano britannico The Times, che lodava il fisco italiano per l’efficienza con cui riesce a farsi staccare gli assegni.

Secondo il giornale finanziario Financial Times, proprio per combattere l’«esterovestizione», fenomeno comune alle multinazionali che tendono a domiciliarsi fiscalmente dove i tributi sono più bassi, il commissario al Commercio Ue, Pierre Moscovici, starebbe studiando uno specifico piano di intervento.

Regole europee che farebbero comodo soprattutto a stati come l’Italia, dove la tassazione piuttosto elevata porta tante aziende, pur operanti nel nostro Paese, a scegliere per le tasse lidi più “gentili”.