Un filo rosso – sebbene sbiadito – lega l’accordo firmato dall’Ig-Metall di martedì a quello di ieri sulla Grosse Koalition. Il ruolo di pressione dell’Spd sugli industriali della Svevia viene considerato determinante nell’arrivare ad un contratto-pilota che non a caso viene definito «storico». Come spesso avviene in Italia, però, il nostro provincialismo ci porta a sottovalutare dinamiche molto tedesche e a trarne lezioni e prospettive difficilmente esportabili, almeno nelle stesse forme.
IL TESTO DELL’ACCORDO è come consuetudine secretato, ma due sono le certezze che nessuno mette in discussione. La prima è totalmente positiva per lavoratori e sindacati dell’intero continente: l’aumento salariale del 4,3 per cento è quasi il triplo dell’inflazione programmata e quindi rappresenta una vera redistribuzione di ricchezza. La seconda è che la «storica» riduzione di orario non è a parità di salario.

PER CAPIRE MEGLIO cos’è successo in Germania e quali conseguenze potrà avere in Italia diamo la parola a due testimoni oculari della nascita della piattaforma della Ig-Metall nel congresso di Mannheim lo scorso 27 giugno, entrambi concordi nel definirla «storica». «Su questo accordo si sono giocati il collo – spiega Valentina Orazzini, responsabile dell’ufficio Europa della Fiom -. La Ig-Metall veniva dal contratto del 2014 con una forte moderazione salariale che aveva scontentato molti. Hanno fatto un lavoro di coinvolgimento e partecipazione della base molto forte. E da qui arriva la centralità del tema dell’orario e la richiesta di recupero salariale. E a Mannheim hanno chiesto esplicitamente ai 900 delegati se erano pronti ad un forte conflitto per ottenere gli obiettivi». «I due temi fondamentali della loro piattaforma erano l’autodeterminazione sull’orario e una richiesta salariale molto alta, il 6 per cento, per sfruttare il momento economico: il settore meccanico è pieno di ordini e la disoccupazione è bassissima», sottolinea Gianni Alioti, responsabile dell’ufficio internazionale della Fim Cisl.

SUL TEMA DELL’ORARIO alcune precisazioni diventano decisive: «È importante che la possibilità di ridursi l’orario per due anni a 28 ore sia data anche ai turnisti, mentre nel suo comunicato la Ig-Metall specifica che le 40 ore l’azienda non le può imporre a tutti ma vanno concordate», ricorda Orazzini. «La riduzione a 28 ore viene gestita diversamente rispetto alle ragioni per cui viene chiesta (accudire genitori o figli, essere turnisti, fare volontariato) e comporta una riduzione di salario compensata dal 27,5 per cento di una mensilità e da un bonus di 400 euro ma viene messa una soglia massima di richiesta: non possono chiederla più del 10 per cento dei dipendenti», rimarca Alioti.

Se entrambi danno per scontato che l’accordo sarà esteso a tutta la Germania, Orazzini sottolinea che il vero punto interrogativo riguarda l’applicazione nell’ex Ddr: «All’Est la settimana lavorativa rimane di 38 ore e la Porsche applica condizioni differenti nei suoi stessi stabilimenti».

QUANTO ALLE CONSEGUENZE in Italia i giudizi sono difformi. «Se è vero che questo accordo non può essere considerato un «lavorare meno, lavorate tutti» perché in Germania la disoccupazione è quasi inesistente, per i paesi del sud europa la sfida è quella di sfruttarlo in un’ottica che stabisce come la flessibilità dell’orario sia a favore del lavoratore e non solo delle imprese, come è stato finora», conclude Orazzini. «In Germania non c’è contrattazione aziendale, tutto è fissato nella contrattazione collettiva e quindi il raffronto è ancora più complesso. Diciamo che l’aumento di produttività è stato molto alto e ora riducono la forbice con gli aumenti salariali. Anche noi dobbiamo puntare a questo ribadendo la necessità di redistribuire la ricchezza», conclude Alioti.