È lunedì mattina, vado in soffitta, diventata la mia libreria, ufficio, angolo di meditazione, e accendo il computer. Entro in Google Meet, accedo al link e sento subito un ‘bip’ che mi annuncia la presenza di uno studente che vuole entrare. Poi un altro. E un altro ancora. I ‘bip’ continuano finché arriviamo ad una trentina di partecipanti e il film club può avere inizio. Insegno all’Università di Ca’ Foscari di Venezia. Siamo tutti a casa dalla fine di febbraio.

Personalmente ho iniziato la didattica a distanza (la famosa DAD) da subito. C’è stato sicuramente molto da imparare – non avevo mai insegnato a distanza prima – ma dopo un paio di lezioni e superate le prime difficoltà tecniche, è diventata una routine e ho avuto il piacere di conoscere tutti i cani e i gatti dei miei studenti – in particolare, un terrier maltese, Charlie, è diventato il nostro preferito; quasi la nostra mascotte.

Ma nel vedere i miei studenti costretti a rimanere chiusi in casa, annoiati, stressati dalle notizie, dai telegiornali e forse anche ammalati, o con familiari ammalati, ho sentito il bisogno di offrire qualcosa in più delle solite lezioni sul ‘present perfect continuous’ ecc. E così è nata l’idea di creare un film club.

Ogni settimana scelgo un film disponibile su Netflix o Prime o YouTube; lo comunico agli studenti, lo guardiamo e poi il lunedì ne parliamo, ne discutiamo, a volte animatamente anche. Il mio obiettivo è stato quello di cercare un film, bellissimo, ma che molto probabilmente gli studenti non avevano ancora visto. Il primo, per esempio, è stato Il Padrino. Tutti hanno visto Il Padrino, giusto?

Assolutamente no. Quasi nessuno. A quei pochi che lo avevano già visto, ho assegnato invece la visione di Quei Bravi Ragazzi o Scarface. In questo modo, oltre a vedere un bel film, possiamo approfondire alcuni aspetti culturali, e tematiche importanti. Il secondo film che ho scelto è stato Don’t Look Now di Nicolas Roeg, il cui titolo in italiano, in perfetto stile giallo, è Un dicembre rosso shocking, a mio parere il più bel film mai girato a Venezia. E completamente nuovo per tutti questi studenti che fino a poco tempo prima avevano fatto lezione ad un passo da San Nicolò dei mendicanti, la chiesa restaurata da Donald Sutherland nel film.

Dopo alcuni incontri, mi è venuto il dubbio che forse gli studenti si annoiavano a sentire sempre la mia voce. Così ho deciso di reclutare alcuni amici dal mondo del cinema. In quel momento l’Italia era già sotto lockdown e la solidarietà di Kaleem Aftab, critico londinese, autore con Spike Lee del libro Spike Lee: That’s My Story and I’m Sticking to It mi ha permesso di far cambiare il tono del film club. Insieme abbiamo organizzato un Netflix party con il film debutto Nola Darling. Il lunedì successivo Kaleem ha parlato del film e del suo rapporto con Lee. Queste le parole di Kaleem dopo l’incontro con gli studenti: «È stata un’esperienza fantastica. Gli approfondimenti e l’entusiasmo degli studenti mi hanno sorpreso e mi hanno fatto riguardare il film da un altro punto di vista. Erano meno interessati al tema della razza e più interessati alla politica di genere. La tecnologia ha funzionato benissimo, non ho sentito per nulla la distanza fisica, e credo che abbia permesso di creare un grande feeling di comunità in questo periodo terribilmente tragico di isolamento sociale. Ma l’isolamento in questi momenti è uno state of mente».

La settimana dopo è stato il turno del regista Asif Kapadia reduce di un grande successo con il documentario Diego Maradona su Netflix, che va ad aggiungersi al suo curriculum che include Senna e Amy. Il regista ha deciso di chiedere ai ragazzi di guardare ItalianAmerican, il documentario di Martin Scorsese. Naturalmente, gli studenti avevano tanti domande sui film di Asif ma la scelta di parlare anche di questo film ha permesso di affrontare discorsi molto interessanti sulla famiglia e su come un artista si muove tra finzione e documentario, proprio come ha fatto Asif con i suoi film Warrior e Far North.

Non è mancata l’occasione di chiedergli come si è sentito quando ha vinto l’Oscar per Amy. «Niente male», ha detto. Siamo entrambi grandi tifosi del Liverpool, e condividiamo l’ammirazione per Jurgen Klopp, ma l’idea di fare un documentario su di lui è stata respinta: «Non voglio creare distrazioni».

L’invito a partecipare a Stephanie Bunbury, storica giornalista australiana, ci ha permesso di cambiare accento e punto di vista. Insieme abbiamo guardato e poi discusso La Signora del venerdì, film commedia di Howard Hawks del 1940. «Prendete Hitler e mettetelo nelle pagine a fumetti» dice l’editore interpretato da Cary Grant. Questo classico della commedia ‘screwball’ è stato proprio un toccasana. La scelta era dovuta ad un commento di Giulia, una studentessa che si lamentava che i film in bianco e nero erano lenti. Nel film Rosalind Russell e Grant sparano più di duecento parole al minuto. È tutto fuorché lento, è divertente, sovversivo, e molto più femminista di tante romcom di oggi.

L’ultimo incontro ha avuto luogo martedì scorso, con Sean Baker, il regista di Un Sogno chiamato Florida, uno dei miei film preferiti degli ultimi cinque anni. Ci ha raggiunto da Los Angeles nonostante le nove ore di fuso orario, e mentre faceva colazione con i cereali circondato dai suoi cani, ha risposto a un sacco di domande poste dagli studenti. È molto preso dai preparativi per il suo nuovo film, di cui ha parlato molto anche se ci avevano detto che avremmo avuto a disposizione solo venti minuti a causa della sua agenda piena di impegni. Tuttavia, un’ora più tardi eravamo ancora tutti là ad ascoltare i suoi racconti e i suoi tanti consigli.

La generosità e la disponibilità di queste persone mi ha riempito il cuore in questo momento difficile. E abbiamo altri ospiti in arrivo: Chadden Hunter, regista di documentari sulla natura per la BBC e Stephen Slater l’archivista di Apollo 11. In molti mi hanno suggerito di registrare questi incontri e di farne un podcast, ma la verità è che queste sono lezioni per gli studenti. Non un’occasione da sfruttare. Sono loro ad essere al centro e durante gli incontri virtuali cerco di dare a loro la parola: fanno domande più interessanti delle mie!

E così voglio anche dare la parola ad alcuni studenti, come Anna che mi scrive: «Nella mia cerchia di amici sto diventando una leggenda, con tutte queste persone famose che ci regalano il loro tempo». O Carolina, che sta considerando una carriera nel settore cinematografico, e che dice: «La nostra salute mentale è sul filo del rasoio in questi giorni ma il film club ci ha fatto sentire più solidali». Giulia – recentemente convertita ai film in bianco in nero – usa un altro film per esprimere gli effetti di questa esperienza: «Mia mamma dice che sembriamo il gruppo di studenti dell’Attimo Fuggente».

Il cinema può sembrare una cosa poco importante se messo di fronte all’enorme tragedia che stiamo vivendo. Le sale cinematografiche sono letteralmente immerse nel buio, i festival cancellati, o comunque le date lasciate nell’incertezza, l’industria tutta in ginocchio. Ma la forza che ci viene dalla comunità del cinema, il nostro amore, la nostra passione comune, e la gioia che viene trasmessa dai film, brillano in questo buio e di questo io, e i miei studenti, siamo grati.