Il New York Times ha raccolto in video sei storie di maternità vere. Le madri sono la voce narrante. L’obiettivo è la comprensione del cambiamento d’identità che la maternità implica per le donne.

Il primo episodio della serie, chiamata significativamente «conception», rende subito chiaro il suo vero tema: il figlio come concepimento/concezione autoreferenziale della madre. Una giovane donna, Laurin, è sposata con un attivista salvadoregno. Lui se ne va per tre mesi, senza più dare sue notizie, ma un giorno le chiede di raggiungerlo a Città del Mexico.

Passano un giorno e una notte insieme e lui torna alla sua lotta. Lei scopre di essere incinta e viene anche a sapere che lui è stato ucciso. È felice: lui le ha lasciato qualcosa di sé dentro. Cresce il bambino nel culto del padre morto. Preoccupata di ciò, gli scrive una lettera in cui promette di rispettare le sue scelte di vita. Si accorge che il figlio sviluppa attitudini femminili. Quando ha quattro anni le chiede di vestirsi da principessa. Lei lo addobba con un vestito femminile color rosa e con una corona sfavillante da favola sulla testa. Si veste anche lei di rosa. I genitori, pensa, devono rispettare le scelte dei figli.

Si può non voler influenzare il destino dei figli, mentre inconsapevolmente lo si decide. L’oscuro presentimento che questo stia accadendo, non è sufficiente perché il tentativo apotropaico possa riuscire. Laurin ha temuto che stesse allevando il figlio nel culto del padre, chiedendogli di sostituirlo.

Per quanto paradossale possa sembrare è proprio ciò che lei ha fatto e, non essendo stata in grado di cogliere il suo vero significato, non ha potuto contrastarlo.

Il rapporto con il marito, evanescente sul piano della realtà, ma molto intenso sul piano della favola, già testimoniava che un principe ideale avesse da sempre sostituito l’uomo reale nel suo mondo interno. Che abbia provato, incinta, felicità quando il marito è morto, sembra incongruo.

Tuttavia con la sua morte, lei si è sentita autorizzata a tenere la sua virilità idealizzata dentro di sé, nella forma del figlio che così l’ha sostituito. Né l’uomo reale, né il figlio reale erano importanti per il suo amor proprio, ma la sua condizione ideale di androgino: una donna che trattiene nel proprio interno un pene psichico avulso dalla sua funzione erotica e vissuto come rappresentante simbolico di un corpo puramente erettile, lontano, il più possibile, dalla capacità di sciogliersi del corpo femminile.

La ferita profonda della femminilità ha trovato una riparazione impropria con cui la donna, impotente a fare diversamente, abbandona se stessa. Madre e figlio vestiti di rosa si riflettono l’una nell’altro, la principessa finalmente principe e il principe principessa. Fusione di Cenerentola (la figlia persa di vista da una madre matrigna) con il principe azzurro (un trasporto identificatorio).

Nel figlio clone di sé (due esseri in uno), Laurin trova un’apparenza esterna di realtà per la sua condizione inconscia di donna fuori e di uomo dentro. Il figlio si sta avviando a un futura condizione opposta, uomo fuori e donna dentro, ma ciò non deve ingannare.

L’ideale androgino resta intatto nel suo significato vero: un corpo asessuato, chiuso in se stesso, che fonda in un composto inerte le opposizioni erotiche che lo attraversano in modo naturale: maschile/femminile e eterosessualità/omosessualità.

Si pensa che la clonazione sia un progetto scientifico eticamente controverso. Sfugge il fatto che è una concezione della vita narcisistica che fa dell’altro il riflesso di sé e trova alloggio ovunque e non solo nella scienza.