«In una notte gli espositori sono passati da ottanta a sei, per paura». L’effetto Salvini, animatore di una nuova fatwa, ora contro la cannabis, si è abbattuto contro il Festival internazionale della canapa di Torino, Sativa Expo, che ha annullato una tre giorni di eventi al Pala Alpitour, dal 17 al 19 maggio. Una scelta maturata in seguito alle ultime esternazioni del ministro dell’Interno, che, mercoledì, ha definito manifestazioni come questa «scempi da vietare». Un pugno duro esibito in contemporanea con la decisione, di parte inversa, del consiglio comunale di Torino, a maggioranza 5S, di dare l’ok alla coltivazione della cannabis a scopo terapeutico nei terreni di proprietà comunale come il vivaio Regio Parco e l’istituto Bonafous, sulle colline di Chieri. Ne parliamo con una delle organizzatrici di Sativa Expo, Stefania Scialabba.

Le attività proposte dal festival sono totalmente legali, perché avete deciso di annullarlo?

La nostra non è stata una bandiera bianca, ma non potevamo ignorare la paura degli espositori che, dopo un paio di ore dall’uscita di Salvini, hanno deciso di rinunciare all’evento. Abbiamo avuto la mail intasata dalle rinunce. In Italia si sta vivendo in un brutto clima, mosso principalmente da disinformazione e strumentalizzazione. È vero che l’attività degli standisti è legale, ma vengono funestati da controlli, sottoposti a chiusure temporanee e sequestri preventivi. Si vive lungo una linea sottile, dove da un lato puoi aprire legalmente un cannabis store, ma dall’altro pressioni e controlli ti rendono la vita impossibile. È quello che ci raccontano gli espositori. Tra l’altro nel nostro festival quello commerciale è un aspetto secondario.

Il ministro Salvini parla di «feste delle canne», qual è, invece, l’aspetto principale della vostra manifestazione?

È un evento culturale e non inneggia all’uso della cannabis per scopi ricreativi. Ci sono seminari e dibattiti divulgativi e informativi, si va dalla storia della canapa ai molteplici impieghi di questa pianta, in termini, per esempio, agricoli e tessili. Per questo motivo siamo anche diversi da altre fiere, ci sono stand ed espositori ma non si tratta di un festival ricreativo. Inoltre essendo in un luogo chiuso non si possono fumare neanche le sigarette elettroniche. Il problema sta a monte.

Quale ritiene sia il problema di fondo?

La disinformazione da parte di tutti. Si addita come sostanza stupefacente una sostanza che non è tale e si accomuna un festival culturale a un rave party. È tutto così limitante e limitativo.

Avevate avuto contestazioni in precedenza?

Dal 3 al 5 maggio si è svolta la prima parte del festival torinese, non al Pala Alpitour ma al Palavela. E abbiamo ricevuto insensate proteste da parte di alcuni manifestanti che sostenevano che all’interno dell’edificio ci si drogasse. Già al Palavela avevamo assistito alla rinuncia di diversi espositori stranieri perché, purtroppo, il tema è nell’occhio del ciclone. E su questo, in Italia, siamo molto indietro rispetto ad altri Paesi più avanzati.

Non volete alzare «bandiera bianca», cosa significa?

La decisione di annullare la manifestazione, dopo le esternazioni di Salvini, è stata presa a malincuore e in poche ore. È stata una scelta tecnica e di credibilità. Abbiamo intenzione di ripetere l’evento in forma più tutelata. Per eventi come questo non c’è bisogno di particolari autorizzazioni comunali, ma firmeremo ogni carta che ci tuteli. Sarebbe bello un patrocinio comunale, ma forse non è ancora tempo per queste cose.