Faceva uno strano effetto guardare ieri la diretta streaming in cui Thierry Frémaux annunciava la selezione del Festival di Cannes 2020, che non si può neppure definire «virtuale» visto che a differenza di altri non ha scelto il formato online – tranne il mercato che si apre il 22 giugno.

QUEST’ANNO il festival francese non ci sarà affatto, annullato come molti altri eventi mondiali dalla pandemia, ma l’evidenza Frémaux non l’ha mai voluta considerare tanto che l’altro giorno, alla vigilia di questa conferenza, in una lunga lettera che terminava con «Viva il cinema», pubblicata sul sito, faceva notare che Cannes non è mai stato cancellato se non nel 1939 – la seconda guerra mondiale – e nel Sessantotto quando a risucchiarlo fu la rivolta del tempo.

Perciò: poteva una pandemia planetaria fermare la gioiosa macchina festivaliera? Eccoli dunque sul palco della sala parigina vuota, il delegato generale e il presidente Pierre Lescure, il primo coi fogli in mano a snocciolare l’elenco dei film, quasi che la manifestazione cominciasse tra pochi giorni, e tutti fossimo pronti a ritrovarci sulla Croisette come sempre. Invece no. I film per ora non li vedremo, e però avranno il marchio di Cannes, a mostrare il «primato» nella scelta.

Quanto appare come una fastidiosa ostentazione di potere, testimonia però anche la specificità di un’industria della quale il festival è parte integrante e garanzia principale del suo funzionamento. In che modo?
Nessuno vuole mettersi contro il festival di Cannes sussurrano alcuni, né produttori né distributori al punto da «rimandare» di un anno i propri film – vedi Benedetta di Paul Verhoeven tipo attestato di fedeltà. Può darsi, ma c’è un altro dato da non sottovalutare. A Cannes la totalità dei film presenti sono di produzione o di coproduzione francese, ed è questo il suo punto di forza, gli interessi di cui si fa catalizzatore riguardano appunto l’intero sistema del cinema francese in una sinergia di relazioni che tutti vogliono salvaguardare come prova l’alto numero di produzioni nazionali .

I FILM. Oltre a The French Dispatch di Wes Anderson, già annunciatissimo come True Mothers di Naomi Kawase o Été 85 di François Ozon – nelle sale francesi il 15 luglio – ci sono molti autori di Cannes – Lovers Rock e Mangrove di Steve McQueen, Last Words di Jonathan Nossiter,Des Hommes di Lucas Belvaux, In the Dusk di Sharunas Bartas, Dna di Maiwenn. L’elenco è suddiviso per capitoli, «Nuovi arrivi» come Danielle Arbid (Passion Simple) o Emmanuel Moret (Les choses que’ont dit, les choses qu’ont fait). Un film collettivo che unisce i meravigliosi talenti di Hong Kong: Septet: The Story of Hong Kong firmato da Tsui Hark, Ann Hui, Johnny To,Patrick Tam, Sammo Hung, Yuen Woo-Pig. Opere prime tra cui l’esordio da regista di Viggo Mortensen (Falling), l’animazione – Earwing and the Witch dello Studio Ghibli (regia di Goro Miyazaki) o la Pixar di Soul (di Peter Doctor). I documentari tra cui The Truffle Hunters di Michael Dweck e Gregory Kershaw, già amato al Sundance. Poi quanto varrà nel mondo «reale» il festival dei sogni è tutto da vedere.