Al di là delle coreografie, per capire qualcosa di più della fenomenologia del renzismo vanno osservati con attenzione i veri protagonisti della Leopolda 2013. Arrivati da ogni parte del paese, e in genere molto curati, abbigliati secondo i canoni della moda corrente, lontani anni luce dalla spettinata iconografia del militante “progressista”. «Vestono come i primi della classe, parlano come i primi della classe, e ascoltano gli altri come fanno i primi della classe. Poco o per nulla». La radiografia fatta da due giovani, disincantati addetti ai lavori della Firenze di Matteo I il rottamatore, si riflette nella dichiarata volontà del loro leader di rendere il Pd un partito di volta in volta cool, smart, trendy. Per conquistare il favore degli “altri”, e raggiungere la tanto anelata maggioranza del paese.

Se c’è un prezzo da pagare, lo si fa volentieri. All’assenza di simboli del Pd rilevata in apertura di giornata dall’internauta di turno, Renzi replica serafico: «Non abbiamo inserito loghi del partito perché questa è una iniziativa che parla anche ad altri mondi». Già pregustando la minipolemica del giorno – questa volta con il candidato rivale alla segreteria Gianni Cuperlo – dalla quale uscire invariabilmente indenne. Quando poi si sconfina nella gelosia, con i renziani della prima ora che lamentano la presenza di convertiti sulla via di Damasco ma dal passato ingombrante (Claudio Velardi, Nicola Latorre, Antonello Giacomelli ecc.), il leader detta la linea, con piglio tanto autoritario quanto efficace: «Basta con l’elogio della sinistra dei pochi. Certo, magari si va più d’accordo in due o tre che in venti. Ma l’elogio di quanto siamo pochi è una cosa che la sinistra ha fatto per troppo tempo e troppo spesso. Dobbiamo imparare ad accoglierci, e magari anche a vincere». L’obiettivo principale di un partito che fin dalla nascita si è autodefinito come destinato a governare.

Certo, nonostante un intervento calibrato sui più classici luoghi comuni del “sentire giovane”, il ritorno alla Leopolda del finanziere Davide Serra è un altro obbligatorio pedaggio alla vis riformista del Pd renziano. «Serra – lo introduce Renzi – è stato accusato di essere un bandito, di avere i soldi nascosti alle Cayman, e invece è una persona perbene. Naturalmente poi gli chiediamo i soldi». Che lo scorso anno furono 100mila euro, quest’anno vedremo. Nel mentre il giovane citizen londinese Serra parte in quarta: «Negli ultimi 40 anni l’Italia è riuscita a esprimere al vertice il peggio di quello che ha, e non riesco a capire perché. La classe che ha gestito il potere ha rubato alla mia generazione e a quella dei miei figli. Ci sono italiani di serie A e di serie B, questi ultimi sono quelli che in pensione ci andranno a 70 anni, gli altri ci sono andati a 55. Si garantiscono i vecchi a spese dei giovani». Applausi scroscianti, presi davvero a buon mercato.

Ad ascoltare in prima fila c’è Guglielmo Epifani, arrivato di buon mattino e salutato dagli applausi della platea: «E’ arrivato il segretario – aveva annunciato Matteo Renzi – e lo ringraziamo. L’anno scorso c’era la contro-manifestazione, quest’anno abbiamo qui con noi Epifani e di questo siamo molto contenti. E’ una bella novità». Ma le invettive quantomai “divisive” di Serra, unite alla richiesta di continuare a tagliare senza pietà la spesa pubblica, hanno convinto Epifani a replicare. Sia pure in modo soft: «Dalla fine degli anni ’70, dopo le lotte operaie, c’è stata una distribuzione ineguale del reddito. E da quando è arrivato l’euro, quello che facevamo prima, la svalutazione competitiva, non possiamo più farlo. Alcune imprese lo hanno capito, e oggi con innovazioni di processo e di prodotto fanno più profitti di prima, la maggioranza invece non lo ha fatto. Per giunta, dopo aver costruito una moneta comune, non ci abbiamo costruito intorno uno stato».

Infine da Epifani arrivano i moniti: sulla crisi che sta dividendo il paese ben più di quanto non rilevino le statistiche, e sui giovani che non hanno più la libertà di scegliere e sono costretti ad emigrare: «Questi ragazzi invece hanno il diritto di scegliere, la mia generazione ha avuto quella opportunità». Alla fine, dopo gli applausi, alla domanda provocatoria se gli sia piaciuto Serra, il segretario Pd risponde così: «Piaciuto è una parola grossa, lui è un uomo di finanza, io preferisco di più ascoltare i manager, le imprese, cioè chi produce reddito e lavoro attraverso gli investimenti e l’occupazione. C’è una parte del suo intervento che posso condividere, quello sulle ragioni della crisi e delle difficoltà, altre parti non le condivido».

C’è anche il tempo di confrontare le visioni diverse sul doppio ruolo cui aspira Renzi: «Voglio restare sindaco e non segretario nelle riunioni fumose – aveva detto a Lilli Gruber – non voglio diventare come quelli che vanno nei pastoni dei tg della sera. In tutta Europa i segretari fanno i sindaci, da noi c’è un’idea di partito legata a funzionari e burocrati». «Tutto è possibile – replica Epifani – ma io penso che fare il segretario di un grande partito italiano sia molto impegnativo. Se Renzi avverte il bisogno di stare di più in mezzo alle persone, penso che si possa fare il segretario del Pd stando anche in mezzo alle persone». Fumata nera insomma.

Oggi si chiude verso l’ora di pranzo, in teoria con l’intervento programmatico di Renzi per la corsa al congresso. Magari anche per parlare di contenuti, visto che al momento i cento tavoli sono stati assai utili per il pranzo e il relax dei presenti. Ma di risultati, ancorché parziali, proprio non si è parlato.