Il volume di Laura Boldrini, Questo non è normale. Come porre fine al potere maschile sulle donne (Chiarelettere, pp. 263, euro 16), è un testo agile che si colloca a metà tra il pamphlet e il memoir. La direzione, dichiarata fin dalle prime righe dall’autrice, già presidente della Camera dei deputati e attiva da sempre per i diritti sociali e umani, è evidente: essere femministe, esplicitarlo, è un posizionamento che procede attraverso l’esperienza, biografica e soggettiva, di un ribaltamento dello sguardo.

Alla luce della consapevolezza generata dalla differenza, Laura Boldrini chiama in causa percezioni, luoghi comuni e immaginari concentrandosi su un concetto che nasconde il nodo più vasto. Si potrebbe infatti discutere della parola «normalità», a partire dal titolo e ripetuta nel libro, là dove si definisce il patriarcato come qualcosa che «non è normale», domandandosi se non sia proprio in ragione di una sua già ottenuta decostruzione e messa in mora che a emergere sia stata nella storia la libertà femminile. Un punto quest’ultimo che si pone sopra la lamentazione, sia pure lecita, fuori dalla richiesta di parità, pur sempre frontali alle molte questioni problematiche. Un sistema scadente, oltre che disfunzionale, produttore di infelicità, violenza e sopraffazione è intriso di collusione, talvolta insospettabile, che ne legittima ancora i colpi di coda.

BOLDRINI ne tiene conto, esordendo nella riflessione a partire dalla pandemia, periodo in cui a esacerbarsi sono state le diseguaglianze di cui in particolare le donne hanno patito, per esempio riguardo il lavoro. Del quadro, vengono dettagliate le intersezioni che non sono legate solo al momento contingente bensì attecchiscono nel tessuto sociale, tra costruzione e rappresentazione, secondo cui poggiamo – tutte e tutti – su fraintendimenti che vanno a discapito delle donne.
Sono cortocircuiti, trappolette culturali riscontrabili trasversalmente quando affiorano nelle conversazioni quotidiane come nelle aspettative che gli altri avrebbero riguardo le funzioni e i ruoli che non si attagliano alla libertà e all’autonomia femminili. Comincia così un compendio di detti, proverbi popolari ed esempi tra i più disparati, ottenendo quello straniamento dinanzi alla semplicità che è il non tacere su ciò che è palese: molte ne fanno esperienza, a partire dall’ambiente professionale fino alla nominazione sessuata, una descrizione puntuale di quanto sia faticoso stare al cospetto di chi, in particolare tra maschi, immagina una designazione che confermi il primo tra gli elementi di sopraffazione: il potere.

Incontriamo allora uomini che insegnano le cose a chi le sa già, che non immaginano neppure di coprirsi di ridicolo mentre continuano imperterriti, capita altrettanto di incrociare chi non è disposto a scusarsi mai o anche solo a mettersi in discussione. Si tratta della prole di un patriarcato debolissimo che ancora accampa pretese. E che moltiplica misoginia, discriminazioni e trivialità alla prima occasione utile; la stessa Laura Boldrini è stata vittima di shit-storm di infimo livello e non certo da haters sciolti da cariche pubbliche.

NON STUPISCE allora il volerlo ribadire poiché se un attacco deve essere dedicato a un’avversaria politica la qualità di quel dire può avere spesso ancora oggi un sottotesto, più o meno esplicito, sessista. A questa specie di «tassa simbolica» che si dovrebbe pagare per aver ottenuto visibilità pubblica, per essersi congedate da un sistema fuori dalla realtà e dalla relazione, fuori dalla convivenza democratica tra i sessi, Boldrini dice di no. Lo ripete persuasa di alcune questioni: la prima è che lo stato di cose cui sovente assistiamo, nello scenario pubblico che si riverbera nel privato e viceversa, è la radice della violenza sistemica contro le donne. È il suo prodromo che si incaglia nella cristallizzazione dei ruoli famigliari, le conseguenze sono significative.

OLTRE alla stessa sopravvivenza, vi è un capitolo che l’autrice dedica, saggiamente, a un fenomeno di cui non si parla mai abbastanza: il ricatto verso le donne che denunciano le violenze togliendo loro i figli. L’affondo è sulla vergognosa etichetta denominata Pas, sindrome da alienazione parentale contro cui, con diverse declinazioni e in molte, tra associazioni, attiviste, legali e parti in causa, lottano dentro e fuori dai tribunali. Ci sono alcuni tra i nomi di chi ha dovuto combattere, e ancora deve, contro i pareri delle Ctu. Anche per questo il femminismo non può scomparire dall’agenda istituzionale, avverte Laura Boldrini. Anche per questo interrogarsi sulle pratiche politiche, sia pure diverse, ha un senso. È l’unico possibile per poter leggere un presente così falcidiato.