Il federalismo di una superstar
Derive continentali Una cronologia delle vicende europee. Dalle illusioni iniziali all’attuale crisi irreversibile del progetto teso a costruire l’Europa politica. Una raccolta degli scritti di Thomas Piketty per Bompiani
Derive continentali Una cronologia delle vicende europee. Dalle illusioni iniziali all’attuale crisi irreversibile del progetto teso a costruire l’Europa politica. Una raccolta degli scritti di Thomas Piketty per Bompiani
L’autore c’è, eccome! È Thomas Piketty, una superstar, il celebrato autore de Il Capitale nel XXI secolo. Il titolo anche: Si può salvare l’Europa? Chi mai sarebbe tanto nichilista o indifferente dal non porsi questa domanda? Quello che non c’è, invece, è proprio il libro, a dispetto delle quasi 400 pagine (Bompiani, euro 20) che ci troviamo tra le mani. Ma, in fondo, eravamo stati avvertiti: «il libro raccoglie l’insieme delle Cronache mensili dell’autore, pubblicate su Libération dal settembre 2004 al giugno 2015, senza alcuna correzione o riscrittura» . E, va aggiunto, senza alcuna nota o elemento di cura e selezione per l’edizione italiana.
Si può immaginare quanto risulti ostico, o tedioso, per il lettore italiano un articolo scritto per un quotidiano francese, magari una decina di anni fa, riferendosi a una specifica contingenza nel quadro politico transalpino dell’epoca. O seguire commenti e affondi critici contro determinate politiche e misure legislative senza cognizione alcuna del sistema previdenziale , fiscale o scolastico francese. Difficoltà per le quali questa edizione non offre il minimo aiuto, né ha operato alcuna ragionevole selezione, tanto da propinarci numerose e fastidiose ripetizioni. Insomma, un libro «buttato lì» dall’indifferenza dell’autore e dalle le previsioni di marketing dell’editore secondo il principio del minimo sforzo per un risultato quale che sia, salvo che in termini di vendite.
Diffidenze francesi
Malgrado la discutibile qualità dell’operazione editoriale non mancano, tuttavia, articoli sinteticamente efficaci soprattutto su due questioni assolutamente centrali nell’argomentazione critica di Piketty, quella fiscale e quella del debito. Che l’autore tratta saggiamente in modo strettamente collegato. La pressione fiscale sui cittadini europei dei paesi mediterranei, con i suoi effetti depressivi, accompagnata da un ridimensionamento del welfare invece che dalla sua estensione, è infatti largamente determinata dagli elevati interessi sul debito e dalle irrealistiche regole di rientro previste dalle istituzioni europee per questi paesi.
La prospettiva storica adottata dall’economista francese ha il merito di illuminare l’infondatezza delle previsioni e l’inefficacia degli strumenti prescritti dalla dottrina ordoliberale al Vecchio continente. Nemmeno con gli alti livelli di crescita dell’immediato dopoguerra Francia e Germania avrebbero potuto sbarazzarsi del loro enorme debito pubblico senza l’inflazione e un taglio bello e buono. Eppure con tassi di crescita infinitamente minori anche nelle più rosee previsioni, e senza poter fare ricorso allo strumento della svalutazione, Parigi e Berlino continuano a pretendere dai paesi più indebitati dell’eurozona l’obbligo di rimborsare fino all’ultimo euro. Innescando così una spirale senza fine destinata ad accentuare gli squilibri.
Piketty non è certo tenero con le timidezze, le reticenze e gli egoismi, peraltro a lungo termine poco vantaggiosi, delle politiche europee del premier socialista francese François Hollande. Aldilà dalle posizioni di facciata, la diffidenza francese per l’Europa politica costituisce uno sfondo permanente. Ma l’eurozona, così come è stata concepita e poi gestita nel corso della crisi, non è in grado di funzionare e viaggia sempre sull’orlo di una possibile catastrofe. Senza una decisa correzione di rotta gli attuali squilibri non faranno altro che aggravarsi, spianando la strada alle forze euroscettiche della destra.
Il punto su cui lo studioso francese ritorna continuamente è la necessità di mettere in comune il debito pubblico dei paesi europei onde garantire a tutti tassi d’interesse bassi e stabili, al riparo dalla speculazione e dall’inflazione. Per fare questo servirebbe però un organismo europeo di governo, che Piketty vedrebbe composto dai membri delle Commissioni bilancio dei diversi parlamenti nazionali. «La priorità assoluta – scrive nel 2010 – deve essere rappresentata dal costituirsi di un potere pubblico europeo capace di lottare ad armi pari con i mercati finanziari». Dunque un passo avanti verso il federalismo in Europa, ma senza imprudenze o fughe in avanti. Non si tratta di mettere tutto in comune (sistemi previdenziali, scolastici etc.), sostiene Piketty, ma solo quelle cose che un paese non è in grado di fare da solo. E cioè essenzialmente due: oltre al governo dei debiti sovrani nel mercato globale, una imposta europea sui redditi d’impresa, tale da mettere fine al dumping fiscale di cui si avvantaggiano le multinazionali.
Ma ciò che ostacola nell’arena concreta della politica e dell’economia europee ipotesi ragionevoli come quelle avanzate dallo studioso francese è il fatto che poteri pubblici e mercati finanziari si sono saldamente intrecciati nel corso degli ultimi decenni sia sul piano dell’ideologia che su quello delle pratiche di governo, fino a convincere i contribuenti dei paesi ricchi a considerarsi attori vincenti nella competizione sul mercato della finanza. Così la proporzionalità piatta dell’imposizione fiscale su patrimoni grandi e piccoli, fino alla pura e semplice regressività delle imposte, il mantenimento di nicchie ed esenzioni a vantaggio delle rendite e degli alti redditi, che Piketty si propone giustamente di combattere, poggiano su quella vittoria politica delle élites che non ha ancora incontrato sullo scacchiere europeo una reazione capace di rovesciarne il segno. Come l’esito della vicenda greca nello scorso luglio e l’atteggiamento, assoggettato agli interessi dei creditori, assunto in quella occasione dalle socialdemocrazie europee stanno chiaramente a dimostrare.
Élite implose
L’ultimo articolo presente in questa raccolta si ferma tuttavia alla metà di giugno del 2015, prima della resa di Atene. Per modificare il corso di una unione monetaria che viaggia, con una Banca centrale che la può contrastare solo fino a un certo punto, verso l’implosione, tre sono, secondo Piketty, le eventualità da prendere in considerazione: una nuova, acuta, crisi economica, uno scossone politico provocato dalla destra, o uno scossone politico provocato dalla sinistra.
Guardandosi intorno non è difficile scoprire quale delle tre eventualità sia la meno probabile. Per quanto riguarda i socialisti al governo in Francia gli articoli di questa raccolta tolgono ogni residua illusione sul «socialmaldestro» Hollande. Quanto al Pd di Matteo Renzi non parliamone neppure.
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