Trump a tutto spiano per festeggiare il primo mese di marca tycon: l’economia crea 235.000 posti di lavoro. Il tasso di disoccupazione cala al 4,7%. I salari crescono del 2,8%. La Federal Reserve, che si riunisce la prossima settimana, dovrà decidere se alzare il costo del denaro, e anche la Banca centrale non esclude un giro di vite. Nelle intenzioni di Trump, il banchetto – tutto da dimostrare – è di stampo suprematista bianco, xenofobo e misogino. I volti e le cifre dell’esclusione sono ogni giorno più evidenti e feroci. Le deportazioni di migranti sono una costante.

IL DIPARTIMENTO di Giustizia sta inviando 50 giudici supplementari nei centri detentivi per immigrati, in particolare al confine con il Messico, per accelerare le pratiche di espulsione (oltre 500.000 casi in arretrato) e decidere chi può restare. Fra i «successi» di febbraio, l’amministrazione Usa ha anche esibito la diminuzione di migranti «indocumentados» che sono entrati dal confine con il Messico: del 40% rispetto alla media. Il 6 marzo, Trump ha firmato il decreto che prevede il divieto di ingresso temporaneo per chi proviene da 6 paesi a maggioranza musulmana. Il Muslim Ban, che entra in vigore il 16 marzo, è stato bocciato da altri stati che, dopo le Hawaii, si sono uniti al ricorso: New York, Oregon, Washington e Massachusetts. Ma Trump si è detto sicuro di vincere la battaglia giuridica.

CONTA, inoltre, di mantenere un’altra promessa elettorale: tornare a riempire anche la prigione di Guantanamo, che Obama si era impegnato a chiudere e dove, invece, rimangono 41 sugli oltre 700 detenuti: «Sono prigionieri di guerra e perciò possono essere trattenuti fino alla fine del conflitto», ha detto Trump rispolverando il concetto di «combattenti nemici» praticato da Bush, e dando a intendere in quale conto tiene la richiesta di Cuba di riavere Guantanamo.

«GEORGE BUSH – ha dichiarato Bernie Sanders – è stato un presidente molto conservatore, ma non agiva al di fuori dei valori politici americani». Per il senatore del Vermont, che ha conteso a Hillary Clinton la nomination democratica nelle ultime presidenziali, Trump è invece «un mentitore che, con un programma economico reazionario fatto di sgravi fiscali per miliardari e devastanti tagli ai programmi che interessano la classe media, mina le fondamenta della democrazia».

UN REAZIONARIO che le spara grosse. L’ultima, è arrivata per bocca di Scott Pruitt, il nuovo capo dell’Agenzia Federale per l’Ambiente nordamericana, secondo il quale «le emissioni di anidride carbonica non incidono sul cambiamento climatico». Pruitt non è uno scienziato, ma un avvocato ultraconservatore che ha fatto carriera nell’Oklahoma grazie a campagne contro l’aborto, i matrimoni gay, l’Obamacare e le politiche ambientaliste. Ora, ha il compito di ripetere quanto già sostenuto da Trump: che «il cambiamento climatico è una bufala creata dai cinesi».

LE BUFALE dei tycon, invece, servono a supportare gli interessi delle grandi compagnie petrolifere, ben rappresentate dal profilo del segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ex amministratore delegato della Exxon Mobil. Ieri, i nativi di varie tribù hanno marciato sulla Casa Bianca per protestare contro la decisione di proseguire la costruzione degli oleodotti Dakota Access e Keystone Xl, bloccati da Obama ma rilanciati da Trump. Hanno denunciato l’aggressione alle loro terre e il rischio di inquinamenti alle falde acquifere.

«TILLERSON – ha risposto a Greenpeace il governo Usa – non ha lavorato alla questione e non avrà alcun ruolo nelle deliberazioni o nelle decisioni definitive sulla richiesta di autorizzazione di TransCanada per l’oleodotto Xl». TransCanada ha chiesto il mese scorso all’amministrazione Usa il permesso di continuare la costruzione dell’oleodotto da 8 miliardi di dollari e 1.179 miglia per trasportare il petrolio dall’Alberta alle raffinerie Usa.

INTANTO, il Ciadi, il Tribunale di arbitraggio della Banca mondiale, ha accolto il ricorso del Venezuela di Nicolas Maduro contro la Exxon Mobil, che chiedeva 1.400 milioni di dollari di danni per le nazionalizzazioni decise da Hugo Chavez. Benché si sia ritirata dal Ciadi nel 2012, Caracas affronta una trentina di cause multimilionarie con le multinazionali che non hanno accettato le compensazioni offerte. «Da noi lavorano 49 imprese petrolifere internazionali e tutti sono benvenuti: nel rispetto delle leggi del lavoro e dell’ambiente», ha dichiarato il governo bolivariano, il cui paese custodisce le prime riserve di petrolio al mondo.