Venti di guerra tra Stati uniti e Iran non hanno mai smesso di soffiare dalla caduta dello scià nel 1979 e da allora Teheran ha sempre cercato di coprirsi le spalle in caso di un eventuale attacco, che preveda bombardamenti o l’avanzata di truppe di terra.
Il fianco occidentale e il mare sono pericolosi: a ovest ci sono Paesi alleati o amici degli americani e a Sud una distesa d’acqua in cui parcheggiare le portaerei. Sul fianco orientale ci sono due Paesi con cui si può lavorare, più meno facilmente, più o meno ufficialmente. Il Pakistan è un Paese sunnita dove i finanziamenti del Golfo hanno armato gruppi settari anti-sciiti. Ma il governo di Islamabad sarebbe riottoso a una guerra con l’Iran. Il gioco diplomatico ha dimostrato in passato un grande attivismo dalle due parti. Poi c’è l’Afghanistan e quello sì è un vero pericolo.

I COLLOQUI DI PACE tra Talebani e americani preoccupano Teheran. In quei colloqui, che dovrebbero disegnare una possibile pace, c’è un convitato di pietra: un argomento di cui ufficialmente non si sta discutendo e che è la vera preoccupazione dell’Iran. Con l’arrivo di Ashraf Ghani alla presidenza nel 2014, Kabul ha già firmato con Washington un controverso Bilateral Security Agreement (Bsa) che Karzai si era rifiutato di siglare: prevede sia l’immunità per i soldati americani davanti a un tribunale nazionale, sia il diritto di usufruire della logistica militare afghana, ossia le basi aeree delle forze armate. Basi da cui si potrebbe sferrare un attacco in grande stile all’Iran. Che fine farà il Bsa? Secondo indiscrezioni di stampa, gli americani starebbero trattando per un’uscita soft dal Paese (in 5 anni, si è detto) ma vorrebbero continuare a gestire almeno due basi: quella di Bagraa, a una settantina di chilometri da Kabul, e quella di Camp Shorabak, già Camp Bastion, a Lashkargah.

Che i talebani ci sentano o meno (ma qualcuno dice che l’accordo si potrebbe trovare) il negoziato riguarda il futuro e dunque future preoccupazioni. Intanto però è ancora in forza il Bsa che garantisce a Washington l’uso di diverse basi aeree dell’esercito afghano: le principali si trovano a Kabul, Kandahar, Marmal e – vicino al confine iraniano – Shindand ed Herat. Adesso, come che vadano i negoziati coi talebani, Washington – oltre all’accesso alle basi afgane – ha ancora una serie di campi militari e basi aeree, da sola o in condivisione con la Nato, che le consentono di guardare assai da vicino la frontiera iraniana. A parte Bagram, centro principale della logistica, gli americani condividono con la Nato il controllo della base aerea di Shindand a 100 chilometri in linea d’aria dal confine iraniano.

LE ALTRE BASI (in teoria andrebbero smantellate o passate agli afghani) sono quella di Camp Leatherneck, sede di partenza della maggior parte delle operazioni dei marine in Afghanistan, inizialmente una Fob (avamposto) estesosi poi per poco meno di 650 ettari. Si trova nell’Helmand non distante da Camp Dwyer, altra Fob allargatasi come quella di Delaram. Quest’ultima, come Shindand da cui dista 230 chilometri, è vicina un centinaio di chilometri al confine iraniano. Attualmente dunque, Washington può contare su sei basi aeree (di cui tre molto vicine all’Iran), più quelle sotto controllo afghano. Una spina nel fianco di cui Teheran ha sempre tenuto conto decidendo di finanziare e allearsi con alcune fazioni talebane (tra cui quella con sede a Mashhad, in Iran) e di mantenere buoni rapporti con la cupola della shura di Quetta (il suo leader, mullah Mansur, fu ucciso da un drone mentre rientrava dall’Iran). In caso di attacco, scatenare l’inferno in Afghanistan.