Meno male che esiste Report, l’efficacissima trasmissione di inchiesta di Rai tre. Ci risarcisce almeno un po’ rispetto al trash dilagante e fa sognare un servizio pubblico degno di questo nome. Senza offesa, ma la rubrica in questione è proprio l’opposto di ciò che ha affermato Giorgia Meloni, colpita dal servizio che la coinvolgeva sui follower moltiplicati a tavolino, sull’utilizzo di siti di fake, e così via. Intendiamoci. Non è affatto da escludere che alla stessa presidente di Fratelli d’Italia la vicenda sia sfuggita di mano. Del resto, da quando la politica si è personalizzata e si è affidata alle società di comunicazione dando loro carta bianca, ogni regola etica è saltata. Sempre la serissima redazione diretta da Sigfrido Ranucci aveva avuto il suo botta e risposta per problemi omologhi con Salvini e la «Bestia». È probabile che, magari in misura minore, il contagio sia ormai diffuso e difficile da fermare. Come quei batteri che resistono agli antibiotici. Ma qualcosa è doveroso fare davvero. Da varie parti si è sollevato il tema, che tocca da vicino la struttura democratica. Le stesse piattaforme interessate, da Facebook a Twitter, hanno esibito volontà di contrasto dei fenomeni degenerativi.

Tuttavia, è bene evitare approcci consolatori o semplicistici. L’inferno dei profili taroccati o dei tweet con pilota automatico è la faccia degenerata di quello che viene chiamato il capitalismo della sorveglianza. Da una parte un’occhiuta intrusione nelle vite private, accaparrandosi milioni di identità digitali per farne oggetto di mercato commerciale o politico, dall’altra il via libera alle pratiche dark. Ciò significa che per smontare una delle due facce è indispensabile mettere in discussione anche il volto strategico del mosaico, che ha bisogno della componente esplicitamente eversiva per nascondere l’eversione di fondo del e nel sistema. Non sarà un caso se la cerchia dei protagonisti di tale passaggio sono i populisti di destra, i sovranisti, l’onnipresente Steve Bannon. E Trump alla regia, assecondato dai vari leader autoritari del mondo ben lieti di aver trovato una testa di ariete come il presidente degli Stati Uniti. La stessa Hillary Clinton ha dovuto protestare – insieme alle opposizioni-contro il governo britannico, che impedisce di conoscere il rapporto dei servizi segreti d’oltre Manica sui finanziamenti degli oligarchi russi al partito conservatore dell’Uk. Le cose si tengono e costituiscono elementi di un unico universo. Vale a dire: la democrazia rappresentativa è messa in discussione e logorata da un inedito modello di consenso manipolato, che ha trovato nella bulimia dei social l’alleato perfetto.

Finché il bubbone non scoppia e le autorità competenti non vengono dotate di mezzi e strumenti di intervento adeguati, bisogna confidare nel coraggio di Report. Anzi. Ottima la scelta della giuria del premio dedicato alla memoria di un altro coraggioso (Franco Giustolisi, che scardinò l’«armadio della vergogna»), di attribuire una menzione speciale proprio al settimanale – e di dare il primo premio a Federica Iezzi per i suoi reportage usciti su il manifesto ex aequo con Lorenzo Cremonesi del Corriere della Sera. Ma non basta. La faccenda, che tocca il villaggio globale, deve finire sui tavoli dell’Europa e dell’Onu. Oltre che, in Italia, di tutte le autorità, ognuna per la parte di competenza. A proposito, quando verranno rinnovati il Garante dei dati personali e l’Agcom? Una così lunga proroga rende incerto il quadro e indebolisce il settore. È fondamentale trovare la giusta misura, evitando scivoloni censori, sempre presenti quando si affrontano le luci e le ombre della rete. La sinistra ci pensi. In verità, esistono numerosi luoghi – da ultimo il riuscito festival della tecnologia di Torino- dove simili riflessioni vengono affrontate. Servirebbe una commissione nazionale, sull’esempio di quella presieduta da Stefano Rodotà presso la Camera dei deputati nel 2014/2015 su iniziativa di Laura Boldrini, per affrontare lo tsunami. Allora diritti e doveri; ora poteri e contropoteri.