Quando nel 1886 il mercante e mentore francese degli impressionisti, Paul Durand Ruel, «costruì» a New York la sua mostra che metteva insieme duecento dipinti, a sostenerlo – sia col suo entusiasmo contagioso che economicamente – c’era Mary Cassatt. Sempre lei era stata una «spinta propulsiva» per suo fratello Alexander, uomo d’affari che gestiva la Pennsylvania Railroad, convincendolo a essere un pioniere non solo come imprenditore ma anche in qualità di collezionista. Lui dette retta a quella sorella impigliata nella storia dell’arte moderna e acquistò Manet, Degas, Monet, Pissarro, accumulando capolavori. Quei quadri li esponeva nelle residenze di famiglia e con la sua autorevolezza fece da apripista, inducendo anche altri colleghi alla «mania» dell’impressionismo. In molti cominciarono a comprare quadri dipinti en plein air provenienti da Parigi.
Così, quando Ruel appese alle pareti le tele degli impressionisti europei, trovò in America un terreno fertile, pronto ad accogliere le novità di quella pittura innovativa ben più che sul Vecchio continente, dove le opere invece venivano ripetutamente rifiutate e beffeggiate. «Senza di lui, saremmo morti di fame», disse Claude Monet, che pure non aveva amato veder partire in nave i suoi lavori e aveva manifestato tutte le sue perplessità per quell’ardita operazione commerciale.

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Un ritratto di Alexander Cassatt col figlio dipinto dalla sorella

RUEL NON SI PERSE D’ANIMO e aprì addirittura una galleria, salvandosi dal crack economico, mentre le opere impressioniste varcarono la soglia del museo di Filadelfia nel 1921, quando il W. P. Wiltstach Fund decise di acquistare dieci dipinti dagli eredi di Alexander Cassatt. Fu il primo nucleo di una collezione strepitosa che via via l’istituzione statunitense (nata nel 1876 per ricordare il centenario dell’Indipendenza) mise in piedi, affidandosi alle scelte di alcune famiglie facoltose e dalla mente aperta.

LA GRANDE MOSTRA inauguratasi a Palazzo Reale di Milano Impressionismo e avanguardie. Capolavori dal Philadelphia Museum of Art (visitabile fino a 2 settembre, prodotta da comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostreSkira) racconta la storia eccezionale della costituzione di un corpus di opere che ha fornito un’identità precisa al museo americano (oggi può contare su oltre duecentoquarantamila opere e nel 2020 vedrà nuovi spazi, ampliato da Frank O’Gehry), immersa nelle atmosfere di fine Ottocento-primi Novecento. È una identità-mosaico e si avvale della confluenza, in quelle stesse sale, di diverse raccolte, narrando l’epos del farsi moderno del linguaggio artistico americano. Cinquanta sono i capolavori sbarcati a Milano – si va dal Ritratto di Camille Roulin di Van Gogh alla Ragazza con gorgiera rossa di Renoir, fino al Ponte giapponese di Monet, le sculture di Brancusi (Il bacio) o le apparizioni di Dalì (Simbolo agnostico), passando naturalmente per Mary Cassatt (Donna con collana di perle in un palchetto) fino a un tardo Chagall (Nella notte del 1943).
Se i fratelli Cassatt furono dei veri talent-scout, dietro i lavori esposti si intrecciano le vicissitudini di altri personaggi. Samuel Stockton White III, per esempio, era un culturista che, in un soggiorno parigino, posò per Rodin e una volta tornato negli States, divenne collezionista seriale di impressionisti (gli stessi che sua moglie Vera lascerà al museo di Filadelfia nel 1967). I coniugi Louise e Walter Arensberg furono invece quelli che «spostarono» l’attenzione sul Novecento, grazie al rapporto di amicizia con Duchamp che li consigliava negli acquisti per la loro casa.
Un’altra donazione fondamentale – trecento opere – per l’identikit del museo di Filadelfia fu quella di Louis E. Stern: nato a Balta, in Russia, raggiunse suo padre in Usa intorno al 1900 e, dopo aver studiato giurisprudenza, si trasformò in mecenate delle arti, raccogliendo libri rari, oggetti primitivi e molti dipinti impressionisti. La sua passione era Chagall.