Il primo commento telefonico che ricevo a metà spoglio, e con l’elezione ormai certa di Sergio Mattarella, è quello di un entusiasta amico siciliano: Renzi ha scelto il candidato più antirenziano in circolazione. Condivido in pieno questo giudizio e, nel contempo, devo riconoscere il coraggio politico del presidente del consiglio che è riuscito a ricompattare il suo partito intorno ad un capo dello Stato che, però, viene percepito come garante più delle minoranze interne ed esterne che della maggioranza di governo.

La sua storia politica è arcinota e inizia la mattina dell’Epifania del 1980, quando killer mafiosi uccidono sotto casa il fratello Piersanti presidente della regione siciliana visto come ostinato rivale dei Lima e dei Ciancimino e quindi insormontabile ostacolo per gli affari delle cosche. Forte dell’eredità politica del fratello, fa da sponda a quei pochi democristiani che cercano di muovere le acque stagnanti della politica siciliana e certo non è di poco conto l’esperienza della “primavera” palermitana del primo Orlando.

La Dc lo vuole però in un ruolo nazionale di governo. Taciturno e schivo ma nient’affatto fragile, il neopresidente fa parte di quella piccola schiera di dc da sempre contro Berlusconi e il berlusconismo e sempre in nome del rispetto delle regole istituzionali e costituzionali, senza mai cedere al fascino di derive giustizialiste troppo spesso usate a sinistra per sostituire la politica. Non è un caso che proprio le sue dimissioni (e di altri quattro) dal governo Andreotti contro la legge Mammì cucinata da Craxi, siano diventate un esempio, raramente seguito, di correttezza istituzionale e di reale contrasto agli interessi privati del cavaliere, il quale ultimo, detto per inciso, giustamente, dal suo punto di vista, non lo voleva presidente nella maniera più assoluta e non per il “metodo” della scelta, ma per la sostanza.
E così, non si è mai invischiato in polemiche giudiziarie riguardanti l’ex cavaliere, ma, sempre rimanendo sul piano politico, ha contestato l’innaturale presenza dei deputati forzisti nel Ppe, ribadendone l’estraneità alla storia del popolarismo italiano.

Come giudice ha già dato prova di assoluta indipendenza dagli interessi dell’esecutivo e di rigorosa osservanza della Costituzione a scapito della ragion di Stato. E’ in questi tratti della sua formazione giuridica e politica che va visto il suo potenziale antirenzismo, nel caso il presidente del consiglio volesse continuare a servirsi di disinvolte scorciatoie istituzionali, prime tra tutte il ridimensionamento drastico del ruolo del parlamento mediante una serie infinita di decreti legge carenti di necessità e di urgenza, ratificati con l’immancabile voto di fiducia.

Comunque il Presidente è siciliano, con il fratello Piersanti ucciso dalla mafia e con le mafie che continuano ad essere uno dei più grandi ostacoli allo sviluppo civile ed economico del Mezzogiorno e dell’intero Paese. Mattarella non è un personaggio da cortei o da manifestazioni antimafia (nei quali comunque io credo molto): è solo che non gli piace esibirsi. Ha però sempre avuto, senza esibirla, la tragedia del fratello (e di tutte le vittime di mafia) come faro ideale della sua azione politica. Sul fronte dell’antimafia lo attendono quanti hanno a cuore le sorti della democrazia e non credo che li deluderà.