Non c’è solo l’inesorabile rosario degli interrogatori dell’inchiesta Mafia Capitale a mettere sotto quotidiana pressione il sindaco di Roma Marino, il presidente del Lazio Zingaretti, le loro giunte e per ultimo anche il Pd romano ormai sprofondato sotto una botta difficile da assorbire. Ora c’è anche il fantasma del commissario straordinario per il Giubileo,nella persona del prefetto Gabrielli, che ieri si è materializzato sulla prima di Repubblica («Blitz del governo, Giubileo commissariato») e da lì si è abbattuto sui nervi scoperti della politica della Capitale. Marino in realtà era a Londra per un viaggio lampo: si vede ancora sindaco fino al 2018, è certo di avere l’appoggio di Renzi, e per questo aveva confermato l’incontro con l’ad di Google Art per avviare la digitalizzazione del patrimonio artistico dei musei comunali. Da lì chiama il prefetto, l’uomo che in buona sostanza deciderà se Roma sarà commissariata per mafia (formalmente tocca al capo dello stato su proposta del presidente del consiglio). La telefonata serve per poter diffondere un comunicato d’amore e accordo: sindaco e prefetto «hanno la ferma e comune intenzione di lavorare assieme per la migliore riuscita del Giubileo straordinario». Quanto alle ’notizie’ di stampa, Marino nega di aver detto che in caso di commissariamento sarebbe pronto a mollare, Gabrielli conferma e «aspetta la decisione del governo».

L’ipotesi di commissariamento del Giubileo, con corollario ovvio della detronizzazione del sindaco, è una polpetta avvelenata, accompagnata da un altro boccone amaro, la prima dell’Espresso, stesso gruppo editoriale, che è un grido di battaglia, «Salviamo Roma», perché per la Capitale tutto è meglio che la permanenza del sindaco, «Meglio dimettersi, meglio il commissariamento».

Dal governo il ministro Gentiloni si attesta sulla linea di un «non sono ancora state prese decisioni». Dal Pd le smentite non ufficiali sono di massimo livello. «Il commissariamento del Giubileo è solo l’invenzione di un giornale». Ma ormai il sindaco è un piccione, impallinarlo è lo sport di giornata. Beppe Grillo è il primo a farlo via twitter: «Roma è ostaggio di criminali e politici corrotti. Il Pd c’è dentro fino al collo, ma “Ignaro Marino” fa finta di non sentire e intanto gli commissariano il Giubileo. #MarinoDimettiti». I Cinque stelle scommettono sul crollo del Campidoglio e sono in piena campagna elettorale. Ma per il momento la città non li segue. Quattro giorni fa hanno diviso la non grande piazza del Campidoglio con gli attivisti di Casapound; il 27 faranno una «fiaccolata dell’onestà» a Ostia, dove il Pd ha dimissionato il proprio minisindaco Tassone giusto un attimo prima che venisse arrestato.

Ma c’è ancora tempo per ingrossare le vele del Movimento 5 stelle. Lo scrittore Roberto Saviano, intervistato da Diego Bianchi alias Zoro nella trasmissione Gazebo, dice che a Roma «è solo l’inizio, manca ancora il lato che riguarda sanità e cemento». E forse non è solo una (pre)visione letteraria. Da giorni c’è chi è pronto a scommettere che la rete degli inquirenti si allargherà presto a altri settori dell’economia della capitale. Quelli cruciali, rispetto al pur lucroso business dei rom e dei migranti a cui fin qui tutto sommato si «limita» l’inchiesta.

Ma è il futuro immediato a preoccupare il Pd, dal comune alla regione via via salendo fino al governo. Nonostante boatos di palazzo dicano il contrario, Renzi non molla il sindaco. La frana a Roma si abbatterebbe su Palazzo Chigi. Ma l’incerto è in agguato. Ieri anche il presidente Zingaretti è scivolato sulla classica buccia di banana: al Tg5 che chiedeva se non fosse il caso di dimettersi, spiegava di no, perché «nessun membro della giunta è coinvolto» nell’inchiesta. «C’è stato purtroppo un arresto del capogruppo di opposizione, il mio capo di gabinetto è sotto indagine e anche il capogruppo del Pd…». Ma Marco Vincenzi, dimissionario, al momento non risulta indagato. La frase viene smentita dallo staff del governatore, ma ce n’è in abbondanza per far montare un caso ai 5 stelle.

La verità è che Roma trema. Trema il Campidoglio, trema il Pd. Il malumore è alle stelle. Il 19 giugno alla festa dell’Unità sarà presentata la relazione di Fabrizio Barca, quella che già nelle premesse parlava di un partito «cattivo e pericoloso». Intanto il nuovo regolamento del commissario Orfini, che municipalizza le iscrizioni, lascia uno strascico di polemiche. E fra papaveri volano stracci: ieri il deputato Umberto Marroni, il cui nome compare nelle intercettazioni (ma non risulta indagato) ha attaccato «quelli che hanno fatto vincere Alemanno», fra i suoi compagni di partito, ma anche quelli che avallano «una delle più grandi speculazioni edilizie degli ultimi decenni con la futura costruzione di una città intorno al presunto stadio della Roma». Ce l’ha con la giunta Marino: lo stadio è stato uno degli oggetti di scontro più duro fra il sindaco e un pezzo del Pd, ma anche di imprenditoria esclusa da quell’operazione. Renzi, da Milano, promette «una lotta senza quartiere alla corruzione». Ma Marino, pure attivissimo – oggi apre il corteo del Pride romano – è fermo: «A una settimana dalla seconda ondata dell’inchiesta, ancora non è stata convocata una riunione formale della maggioranza con il sindaco e gli assessori che hanno in carico i settori più coinvolti dai reati emersi dall’inchiesta», denuncia il radicale Riccardo Magi.