A Damasco e al Cairo prima hanno festeggiato e dopo sono rimasti delusi, a Gaza hanno trepidato e poi gioito. Israele ha atteso lo sviluppo degli eventi per uscire allo scoperto. Il tentato golpe di venerdì notte in Turchia ha scosso il Medio oriente. L’eventuale caduta di Erdogan senza dubbio avrebbe avuto riflessi enormi nella regione dove il leader islamista, sponsor del movimento dei Fratelli musulmani, da anni gioca un ruolo di primo piano, non mancando di intervenire in modo insidioso nelle vicende interne di altri Paesi. La crisi siriana è il miglior esempio del tipo di “politica estera” svolta in questi anni dal “sultano”. Non sorprende perciò che a Damasco migliaia di persone abbiano esultato in strada per la caduta, poi non avvenuta, di Erdogan che ha finanziato e armato – lo provano documenti, anche video, resi pubblici dalla stessa stampa turca – alcuni dei gruppi jihadisti più radicali nel tentativo di abbattere il presidente Bashar Assad. Erdogan ha anche lungamente invocato l’imposizione di una zona cuscinetto all’interno del territorio siriano allo scopo di rifornire e assistere meglio i gruppi armati anti-Assad. L’uscita di scena del “sultano” era carica anche di un importante significato simbolico. Il presidente siriano avrebbe potuto affermare di essere sopravvissuto politicamente al leader regionale che più di ogni altro ha lavorato sul terreno per mettere fine al suo potere.

Per altre ragioni venerdì sera si festeggiava anche al Cairo. Non con la gente in strada ma nei palazzi del regime del generale Abdel Fattah al Sisi dove per ore si è sperato che i “colleghi” turchi portassero a termine un golpe contro le autorità islamiste a tre anni di distanza da quello realizzato dall’esercito egiziano a danno dei Fratelli Musulmani di Mohammed Morsi. I media vicini al regime hanno raccontato e analizzato (e celebrato) con troppo anticipo la caduta di Erdogan. Così ieri mattina hanno dovuto fare i conti con titoli e articoli che riferivano qualcosa che in realtà non è avvenuto. Sebbene Ankara stia mandando segnali di disgelo al Cairo, i rapporti tra al Sisi e Erdogan restano pessimi. Il presidente turco dopo il golpe in Egitto del 2013, che ha rimosso l’alleato Mohammed Morsi, aveva usato parole durissime contro al Sisi che, da parte sua, ha replicato con toni altrettanto forti.

In Israele si è mantenuto un atteggiamento cauto. Anche se per anni Erdogan è stato un duro avversario del premier Netanyahu (a causa dell’assalto israeliano del 2010 al traghetto Mavi Marmara diretto a Gaza e costato la vita a dieci passeggeri turchi), di recente i due leader hanno raggiunto intese che ritengono strategiche nel quadro del futuro Medio Oriente. L’intelligence israeliana inoltre non aveva un’idea precisa dell’orientamento politico dei militari golpisti, immaginati da molti come dei laici e che invece sono o sarebbero degli islamisti più radicali di Erdogan. Quindi, dal punto di vista di Tel Aviv, avversari potenzialmente più insidiosi del presidente turco. Netanyahu preferisce la stabilità in Turchia, tornata ad essere un’alleata. Per questo, ieri, con un breve comunicato il portavoce del ministero degli esteri Emmanuel Nahcshon ha fatto sapere che «Israele rispetta il processo democratico in Turchia e si aspetta che prosegua il processo di riconciliazione fra i due Paesi».

A Gaza Hamas ieri sera ha tenuto un raduno con migliaia di simpatizzanti e diversi esponenti di primo piano del movimento islamico per festeggiare lo scampato pericolo. Già durante il giorno decine di palestinesi avevano sfilato per le strade della Striscia sventolando la bandiera turca. Erdogan resta il principale alleato politico di Hamas nella regione, anche se il recente accordo tra Turchia e Israele non ha prodotto la fine del blocco di Gaza attesa dalla popolazione palestinese e ha creato un acceso dibattito sul tipo di rapporti da avere in futuro con Ankara. «Erdogan assiste Hamas e manda aiuti umanitari a Gaza ma sino ad oggi ha solo venduto illusioni ai palestinesi – dice l’analista Ghassan al Khatib – se il presidente turco fosse uscito di scena non sarebbe cambiato nulla per la nostra gente. Il blocco israeliano non è cessato nonostante le promesse di Erdogan che alla fine ha scelto di allearsi di Israele e di dimenticare che Gaza è una prigione per due milioni di palestinesi». Felicitazioni per il fallito del colpo di stato sono giunte anche dall’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen.