Nel fitto calendario di «Pordenolegge», gli incontri con David Grossman e Massimo Recalcati sono emersi soprattutto per l’atmosfera che hanno saputo creare toccando corde essenziali quanto ardue da catturare.
Grossman ha parlato dei suoi ultimi due libri, A un cerbiatto somiglia il mio amore, del 2008, e Caduto fuori dal tempo, del 2011. Entrambi sono influenzati dalla difficoltà di porre fine al conflitto israelo-palestinese e dalla morte del suo figlio minore Uri, ucciso in Libano nel 2006, il secondo in modo più esplicito poiché prende l’avvio dal gesto di un uomo che ha perso suo figlio ed esce di casa per andare «laggiù», per trovare il punto d’intersezione fra la vita e la morte. Inizia a girare attorno alla città e a lui si uniscono altre persone che hanno perso i loro figli, benché la coralità delle loro riflessioni trasfuse spesso in poesia sia rielaborata dal Centauro, uno scrittore che non può lasciare la sua stanza perché da quando suo figlio è morto la metà inferiore del suo corpo si è trasformata in una scrivania e lui tenta con disperazione e al tempo stesso con ironia di lambire la morte con le parole che scrive.
«Giunse il momento in cui dovetti dare un nome alle sfumature della mia catastrofe – ha detto Grossman – Per farlo avevo bisogno di diversi personaggi, di provare a mappare l’isola, dare i nomi, come dice il Centauro. Scrivere per me è Essere con la S maiuscola. Non posso penetrare quel che c’è al di là della morte, ma posso percepirne qualcosa e poi tornare: straordinariamente vivo ma con una grande consapevolezza della morte».
A proposito di A un cerbiatto somiglia il mio amore, si è chiesto: «Come si può proteggere la fragile bolla di una famiglia in mezzo alla guerra? In una realtà così inumana? Far crescere i propri figli che a 18 anni devono andare a combattere?», e poi ha aggiunto: «Da noi si tende a schivare la realtà, questo circolo vizioso di violenza, e lo facciamo sia noi sia i palestinesi. Lotto ormai da trent’anni contro l’occupazione. Finché i palestinesi non avranno uno Stato non lo avremo neanche noi. La tragedia di noi ebrei è che non ci siamo mai sentiti a casa. Dopo 65 anni in Israele non ci sentiamo ancora a casa. Tutta l’energia che si spreca cercando di impersonare ‘il nemico’ ci depriva delle risorse più preziose. Le persone diventano agenti di odio e di violenza, poiché se getto un’ombra su qualcuno lui la getterà su di me. Manca il senso di benessere, di fiducia che si prova quando si può chiudere la porta e sentirsi al sicuro. Vorrei che gli ebrei immaginassero un futuro senza paura, in cui saranno accettati da tutto il mondo».
Massimo Recalcati ha invece catturato l’attenzione del pubblico con la sua lectio su L’ora di lezione, il suo ultimo libro appena uscito. Lo psicoanalista ha raccontato i suoi fallimenti da studente bocciato non solo in seconda superiore ma perfino in seconda elementare, la vergogna che provava per il disonore che arrecava alla sua famiglia, ma anche la ripulsa non tanto per il sapere quanto per una maestra sadica al punto di punire i bambini facendoli restare per tre minuti con le mani sotto la neve, quando nevicava, o escogitando altre trovate crudeli. Era stato necessario l’incontro con una insegnante così innamorata del sapere da riuscire a contagiare i suoi alunni e per lui era iniziata una nuova vita meravigliosa. Da allora non ha più smesso di studiare e di insegnare.
L’unico modo efficace di insegnare non è travasare conoscenze in teste vuote per riempirle, ma produrre un vuoto nelle loro teste, accendendovi il desiderio di inseguire il sapere che non è trasmissibile, che al sapere sfugge e che lo attraversa, ciò che non si può dire, il mistero della vita, della morte, del sesso. Rendendo il libro un oggetto erotico come il corpo della persona amata, capace di schiudere mondi.