A un anno esatto dalle dimissioni dal ruolo di co-Premier nordirlandese di uno degli storici comandanti dell’Ira, Martin McGuinness – dimissioni comunicate il 9 gennaio del 2017 – annuncia ora le proprie (anche se ufficialmente per motivi di salute) anche James Brokenshire, il ministro britannico responsabile degli affari dell’Irlanda del Nord. La sua decisione anticipa di qualche ora il rimpasto del governo britannico in corso, voluto da Theresa May. Al suo posto è stata nominata Karen Bradley, in passato critica sulla Brexit.

Chiunque abbia familiarità con gli affari d’Irlanda sa bene quale importanza simbolica abbiano le date. La rivolta che ha inaugurato il percorso verso la parziale indipendenza del paese ha avuto luogo il giorno dopo la Pasqua del 1916. Un grande scrittore, omonimo di un altrettanto grande rivoluzionario, James Stephens, ricorda che quel giorno, mentre nelle chiese si esclamava «Cristo è risorto», per le strade si urlava «l’Irlanda è insorta». A più di 80 anni dopo risale la sigla, a Belfast, degli accordi di pace, di cui tra tre mesi cadrà il ventennale, accordi firmati proprio un venerdì santo.

Oggi, a un anno esatto dall’inizio dell’impasse nella situazione politica, è tempo per un bilancio provvisorio, e Brokenshire sembra averci pensato. Ed è un bilancio, il suo, più che negativo.

L’appiattimento sulle posizioni degli oltranzisti della destra estrema, gli unionisti-lealisti del Dup, ne ha svuotato il ruolo istituzionale di mediatore. Secondo gli accordi di pace, il governo inglese, assieme a quello di Dublino, avrebbe dovuto agire da garante per il raggiungimento di compromessi politici tra i rappresentanti delle due maggiori comunità. Ma il fatto stesso di appartenere a un gabinetto la cui stampella è una delle due parti in causa – il Dup appunto – non gli ha giovato. Anzi, è stato del tutto controproducente.

In assenza di un accordo sulla devolution, e sul ripristino delle istituzioni del governo misto dell’Irlanda del Nord, Brokenshire è stato di fatto un plenipotenziario, ma senza riuscire a superare gli ostacoli più ostici al raggiungimento di un punto d’incontro tra le fazioni. Primo tra tutti l’obiettivo richiesto a gran voce da Sinn Féin della parità di tutti i cittadini in termini di diritti civili. È infatti sempre più chiaro che i veti del Dup, sia per quanto riguarda il riconoscimento della lingua irlandese come uno degli idiomi ufficiali dell’Irlanda del Nord, sia per i matrimoni tra coppie dello stesso sesso, hanno reso inevitabile la scelta dei repubblicani di non proseguire i negoziati. A peggiorare lo stallo, la determinazione di Brokenshire, durante tutto il suo mandato, nel perseguire ingiuste politiche di repressione, quali quelle connesse al regime dell’internamento, criticate e contrastate dalle ali più radicali e di sinistra dei repubblicani.

Il governo di Londra, sotto scacco perché si regge sui pochi voti dei lealisti di Belfast, incassa così l’ennesimo fallimento, dopo i tentativi goffi e mal riusciti di proporre soluzioni credibili alla questione del ripristino di un confine tra le due Irlande. Una vera e propria frontiera, infatti, separerebbe con l’accetta luoghi dell’isola a cui la relativa pacificazione degli ultimi venti anni ha giovato, anche e principalmente dal punto di vista economico.