Non era scontato che Tor Sapienza diventasse famosa per i gravi incidenti di questi giorni. Il quartiere vanta infatti quarant’anni di onorato servizio, essendo stato realizzato nella metà degli anni ’70: due generazioni di abitanti si sono succeduti in quel luogo e fino a oggi non era mai accaduto nulla di eclatante. Era un quartiere periferico nato nella grande stagione del pensiero pubblico. Quei decenni erano attraversati dalla speranza di riscatto sociale a da una cultura urbana che si sforzava di pensare a una città unita e solidale. Sulla base di questa spinta culturale, a partire dal 1975 Roma ebbe la più felice stagione amministrativa – insieme a quella guidata da Nathan sessant’anni prima – che abbia mai conosciuto. Un uomo di cultura come Giulio Carlo Argan alla guida della città. L’indimenticabile Renato Nicolini che riuscì a dare la scossa alla grigia città venata di clericalismo, ponendola al vertice dell’innovazione culturale mondiale. Sono gli anni del progetto Fori di Cederna e Insolera che Luigi Petroselli, succeduto ad Argan nel 1979, pose al centro di una nuova idea di città.

Non sono mancate lotte e rivendicazioni da parte degli abitanti di Tor Sapienza per avere più diritti e più servizi. Ma erano proteste che trovavano risonanza in partiti sensibili a quei temi, non avevano necessità di utilizzare la violenza. Vale la pena di ricordare che nel grande spazio centrale del quartiere era prevista una fermata della linea metropolitana che avrebbe dovuto costituire la spina dorsale della Roma dei nuovi ministeri, e cioè del Sistema direzionale orientale. Le periferie nel cuore della città del futuro. Politica e cultura tentavano di dare concretezza al disegno di mettere in crisi lo stesso concetto di periferia.. Utopie insensate, afferma il cinismo imperante in questi anni in cui il welfare urbano è stato tagliato senza pietà. «Gli italiani hanno vissuto sopra le loro possibilità», sentenziò in proposito Mario Monti, quando fu nominato primo ministro nel 2011. Si permetteva tanto disprezzo per le condizioni di vita delle persone delle periferie italiane perché qualcuno aveva dissodato il terreno per lui. Sono più di venti anni che il pensiero unico liberista ha infatti convinto una parte della sinistra italiana.

Dal 1993 al 2008 Roma è stata amministrata dalla sinistra che invece di proseguire l’opera di quegli anni lontani, ha favorito la più sconvolgente fase di speculazione edilizia che Roma ricordi. Con il «Modello Roma» la superficie urbanizzata di Roma è raddoppiata: le periferie sono diventate troppe e ingovernabili perché la mala urbanistica ha vuotato le casse della città. La capitale ha 22 miliardi di deficit e non ha soldi da spendere nel recupero urbano. Ma pur di negare l’evidenza del fallimento del neoliberismo, gli inventori del modello Roma nel 2013 tirarono fuori dal cilindro Ignazio Marino. Riuscirono così a ignorare le proposte del gruppo guidato da don Roberto Sardelli che delle periferie ha la sua ragione di vita. In quelle elaborazioni si chiedeva una radicale discontinuità con il passato che non c’è stata. Marino non ha mai dimostrato la minima sensibilità verso le periferie preferendo occuparsi della pedonalizzazione del centro storico. Ora fanno a gara a scaricarlo, ma è figlio del loro pensiero.

Da venti anni le periferie sono state abbandonate a se stesse. A Tor Sapienza la metropolitana non si costruirà mai più. Anzi, in queste settimane le linee di autobus vengono tagliate per riparare il deficit accumulato con la mala urbanistica. I servizi sociali sono quasi tutti chiusi. Le case non hanno da anni alcuna manutenzione e versano nel degrado. I parchi urbani, quando esistono, sono ridotti a vergognosi immondezzai. I giovani sono stati privati perfino della istruzione dell’obbligo e la mobilità sociale cancellata. Il lavoro è una chimera lontana. Il degrado fisico delle periferie urbane sta diventando intollerabile perché non c’è più un luogo – abitazioni comprese – che non sia abbandonato, come hanno ben testimoniato su queste pagine Antonio Castronovi che abita proprio a Tor Sapienza e Daniele Vicari. Abbandono e degrado, un deserto sociale.

Solo se affrontiamo con onestà intellettuale questa china rovinosa segnata dalla restaurazione proprietaria potremo spiegare l’incendio di Tor Sapienza. È nel tragico abbandono di questi venti anni che attecchisce qualsiasi provocazione razzista di una destra indecente. Per non rischiare una spirale pericolosissima a Roma e in Italia dobbiamo prendere atto che il razzismo di piccoli gruppi germoglia grazie al grande deserto creato dal silenzioso abbandono della città pubblica.