Il portavoce di Angela Merkel assicura che non c’è “nessuna divergenza” con l’Italia, per placare le tensioni che sono emerse sulla dose di flessibilità nell’interpretazione del Patto di stabilità e di crescita, in seguito al battibecco tra Renzi e la Bundesbank. Berlino precisa che “la Bundesbank è un organismo indipendente”, per prendere un po’ le distanze dal falco Jens Weidmann, il presidente della Buba. Ma, se Merkel deve dar prova di diplomazia, lo scontro resta con Jens Weidmann, che del resto, pur indipendente, in Germania sta criticando con forza l’introduzione (anche se molto soft) del salario minimo, che secondo lui è foriero di maggiore disoccupazione (il salario minimo è l’impegno preso da Merkel nell’accordo di governo con l’Spd).

Matteo Renzi è in prima linea nell’offensiva contro l’interpretazione austeritaria dei Trattati europei. Ha preso il posto, malamente occupato, di François Hollande. La Francia è stata a lungo la bestia nera di Weidmann. Nel giorno della partita Francia-Germania, ricordiamo le metafore calcistiche di qualche giorno fa di Weidmann, secondo il quale i bassi tassi di interesse (tropo bassi e per troppo tempo, secondo il falco della Buba) non devono “spingere i governi – di Francia e Italia – ad attenuare gli sforzi” di risanamento delle finanze pubbliche. Siamo al “fischio del primo tempo – ha detto a giugno – non dobbiamo rallentare, non dobbiamo dimenticare che il secondo tempo è spesso più faticoso e che si rischiano persino i supplementari”. Per Weidmann, Francia e Italia dovrebbero diventare dei “modelli” per tutti i paesi in crisi: “se per la terza volta la Francia sarà autorizzata a rimandare la correzione del deficit eccessivo, questo minerebbe gravemente la credibilità del Patto di stabilità e crescita”, ha affermato alla conferenza economica di Dubrovnik, a giugno. E ha precisato pensando a Jean-Claude Juncker e alla sua disponibilità verso una maggiore flessibilità, che “la Commissione deve limitarsi a un ruolo di arbitro e non cercare di spostare i pali delle porte a metà partita”. Jens Weidmann è il principale falco che si oppone al presidente della Bce Mario Draghi nel consiglio dei governatori della banca centrale europea: la Bce non deve diventare la “bad bank” europea, afferma, comprando obbligazioni di stato. Jens Weidmann viene dalla scuola monetarista. Come il suo predecessore, Axel Weber, che si era dimesso polemicamente dalla presidenza della Bundesbank, per protestare contro gli acquisti di obbligazioni di stato da parte della Bce.

Jens Weidmann, in un articolo pubblicato qualche giorno fa sulla Süddeutsche Zeitung, ha affermato che l’interpretazione flessibile del Fiscal Compact significa “provocare scosse massicce nella zona euro”. Per Weidmann, “non bisogna indebolire le regole di bilancio. Anzi, vanno rafforzate”, perché “nessuna crescita economica durevole puo’ appoggiarsi su una montagna di debiti pubblici e privati”. E’ la stessa posizione opposta a Renzi all’europarlamento mercoledi’ dal capogruppo del Ppe, il tedesco Manfred Weber. Questa rigidità è presente anche nel governo Merkel, rappresentata dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble, che ha ribadito: “rifiuto il tema della flessibilità” pur ammettendo che “abbiamo bisogno di crescita e investimenti”. Schäuble afferma di non cedere al “feticismo”, ma si congratula con se stesso per l’equilibrio di bilancio: per la prima volta dal ’69, nel 2015 la Germania non avrà deficit e non si indebiterà di più. Entro il 2017, il debito pubblico tedesco dovrebbe calare dall’attuale 80% del pil al 70%. Non ci sono tagli consistenti, perché l’economia tedesca cresce (+1,8% quest’anno, +2% nel 2015). E’ la prova, per Schäuble e per Weidmann, che la crescita durevole e il consolidamento dei conti pubblici non sono contraddittori. Anzi.