Deve ingoiare il suo primo boccone amaro Mohammed bin Salman, il nuovo principe ereditario di fatto già alla guida dell’Arabia saudita. Il giovane falco della casa dei Saud ha fondato la sua linea di politica estera sull’alleanza con Washington e su una rinnovata pressione americana sul rivale Iran. E invece il Segretario di stato Rex Tillerson sta mandando in fumo i suoi piani proprio nel momento della riscossa, cominciata con l’isolamento del Qatar accusato da Riyadh di infedeltà alla causa sunnita, di mantenere rapporti con Tehran e di sponsorizzare gli odiati Fratelli musulmani. L’embargo attuato dai sauditi e dagli alleati egiziani, emiratini e bahraniti peraltro fa acqua da tutte le parti. Anzi Doha ha rilanciato forte e ha fatto poker. La Exxon, insieme a Total e Shell, hanno aderito senza esitazioni al ricco piano qatariota di aumento della produzione di gas liquido del 30% entro i prossimi sette anni. Gli interessi economici superano ogni decisione politica. Una regola alla quale non si è potuto sottrarre un re del capitalismo come Donald Trump – i rapporti finanziari e militari tra Washington e Doha restano saldissimi – che pure per giorni ha fatto la voce grossa contro il Qatar illudendo l’Arabia saudita.

Mohammed bin Salman deve digerire l’intenzione di Tillerson di «trovare un compromesso» tra le petromonarchie sunnite, a svantaggio della sua linea aggressiva. Non per questo rinuncia alla pressione sul Qatar e al progetto di costituire una “Nato araba” contro l’Iran. Per questo ora guarda all’Africa e, il ministro degli esteri al Jubeir, ha lanciato l’idea di un summit in Arabia saudita «contro il terrorismo» – simile a quello che a maggio ha portato a Riyadh cinquanta leader islamici di fronte a Donald Trump – che in realtà mira a colpire gli enormi investimenti fatti dal Qatar in quel continente. La lotta all’estremismo religioso e a chi lo sponsorizza in Africa ufficialmente prenderà di mira Boko Haram e al Qaeda nel Maghreb ma non sono in pochi a pensare che sfocerà nell’inserimento tra i «terroristi» anche del Fronte Polisario e dei combattenti del popolo sahrawi in lotta per la piena autodeterminazione e contro l’occupazione del Sahara occidentale da parte del Marocco. Alla casa regnante saudita non sono piaciute le forti esitazioni di Rabat nei confronti dell’isolamento del Qatar e per ritorsione ha manifestato un (cauto) sostegno alla causa sahrawi. Ma è solo «tattica» per avere l’appoggio di re Mohammed VI alla linea aggressiva contro il Qatar.

Il Marocco infatti «farà tutto per ottenere il sostegno della sua posizione sulla questione sahariana», scriveva qualche giorno fa Hadda Hazzam, editorialista del giornale algerino al-Fajr manifestando i timori del suo Paese che Mohammed bin Salman possa trasformare il proposto summit africano contro il terrorismo in un tentativo di mettere sotto pressione proprio l’Algeria schierata (ma tra non poche contraddizioni) contro l’occupazione del Sahara occidentale e che ha sollecitato il dialogo tra il Qatar e i suoi boicottatori. «Perché il regno saudita non ha chiesto un vertice africano per combattere la povertà, le malattie e la carestia, mentre ha finanziato progetti negli Usa per aiutare a combattere la disoccupazione e ha concesso 80 milioni di dollari allo Stato della Louisiana? Perché non ha investito in Africa aiutando a combattere la povertà e la guerra in modo da evitare che il Continente finisse nelle mani dei gruppi terroristici?», domandava polemicamente Hazzam. A Riyadh, come sa bene l’editorialista algerino, non interessa combattere il terrorismo in Africa ma imporre la sua egemonia diplomatica e finanziaria e imporre il Wahabbismo che da decenni promuove in tutto il mondo islamico, dal Nordafrica