Con un annuncio a sorpresa, la scorsa settimana Raf Simons ha lasciato la direzione creativa di Dior, uno dei marchi più conosciuti del fashion system, dove era arrivato tre anni e mezzo fa a colmare il vuoto lasciato nel periodo di interregno seguito al licenziamento di John Galliano. La motivazione è molto personale: «Ho deciso dedicarmi alla mia propria attività (ha una sua linea di moda maschile, ndr) e ai miei interessi privati al di fuori del lavoro».

In realtà, la causa principale di questo abbandono, arrivato quando la società aveva già preparato il rinnovo del contratto, è la pressione a cui sono sottoposti i creativi, ai quali viene sottratto ogni controllo della propria creatività ma dai quali si pretende una creatività a getto continuo. La stampa mondiale e gli addetti ai lavori non se lo aspettavano e il loro stupore non è altro che la certificazione di quanto il sistema della moda non voglia rendersi conto della criticità che sta vivendo in questi anni in cui i marchi della moda sono sempre più autonomi dalla sorte, e spesso dalla capacità, di chi li disegna.

Per dare un’idea delle pressioni a cui può essere sottoposto uno stilista di moda, basta guardare agli incastri di interessi in cui vivono i marchi inseriti nei così detti Gruppi del Lusso. Per esempio, la Christian Dior SE è controllata dalla finanziaria di famiglia di Bernard Arnault, ma è gestita da Lvmh (Louis Vuitton Moët Hennessy), il più grande gruppo del lusso mondiale al cui comando c’è sempre Arnault, che raccoglie moda (tra cui Givenchy, Céline, Louis Vuitton, Fendi, Pucci, Kenzo, Loro Piana), champagne (Moët & Chandon, Veuve Clicquot, Ruinart, Dom Pérignon) profumi, orologi e gioielli (tra cui Bulgari) e altre varietà di prodotti di lusso. I profitti che deve produrre un marchio inserito in questo contesto, con sfilate, collezioni di vendita, accessori, immagine globale del brand, sono al di sopra di qualsiasi creatività, sia pure eccellente ma pur sempre umana come quella di Simons che, in soli tre anni, ha ridato a Dior una freschezza contemporanea nel pret-à-porter e nella Couture, con un conseguente aumento dei profitti. Il che non ha impedito a uno dei più sensibili designer del momento di sentire il bisogno di allontanarsi da un meccanismo che stritola qualsiasi slancio creativo nell’ingranaggio della massimizzazione dei profitti in un mercato globale che, per quanto mostri segni di caduta, resta un gigante vorace capace di assorbire l’attuale iper produzione di moda.

ManiFashion ha lanciato spesso l’allarme sulle cause che porteranno al suicidio inconsapevole del sistema moda, e sul meccanismo che porterà le mani della finanza a stringersi intorno al collo di un moribondo che, a quel punto, sarà già un cadavere esanime. Dopo aver commentato sgomenta la notizia, ora la stampa mondiale è alla ricerca di una dietrologia che possa salvarla dalla delusione. Ma Raf Simons è da sempre un creativo che fugge da questo sistema proprio mentre sembra piegarsi alle sue logiche.

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