La socialdemocrazia è in crisi in Europa. L’idea stessa sembra inadeguata a rispondere alle domande dei cittadini in questo periodo di transizione. È ancora peggio quando una sua versione, rivista e corretta, è al potere, come in Francia. A pochi mesi dalle elezioni presidenziali, mentre le candidature si moltiplicano, manca in effetti per il momento quella «socialdemocratica».

Per cercare di capire questa situazione di stallo, discutiamo con Daniel Cirera, specialista di questioni europee, segretario del consiglio scientifico della Fondation Gabriel Péri, che ha scritto un saggio su Socialdemocrazia, fallimento e fine di un ciclo (2009).

Dopo 5 anni di presidenza di un socialista, la sinistra rischia di non essere presente al ballottaggio a maggio?

C’è una crisi e il rischio di arrivare a un duello tra una destra radicalizzata e l’estrema destra. Per la sinistra tradizionale e per quella erede del comunismo sembra che ci sia un’assenza di soluzione politica a questo dilemma. Questa situazione riflette l’angoscia profonda del paese reale, che si traduce nella ripetizione di affermazioni del tipo «non so per chi votare», «tutti ladri», riduzione dell’alternativa tra Macron (ex ministro dell’Economia, che ha fondato il movimento En Marche!) e Juppé (ex primo ministro di Chirac). È una situazione schizofrenica. Anche perché al momento non sappiamo cosa accadrà: chi sarà candidato a destra? Mélenchon è candidato, ma chi per il Ps e per i Verdi? Quale sarà il risultato del primo turno? In Francia non si è mai vissuta una situazione del genere. Si deve riflettere, ma mancano gli elementi su cui farlo. In un paese dalla cultura politica stabile è una situazione che aumenta l’angoscia.

Come è possibile l’evaporazione della proposta socialdemocratica?

C’è in effetti un problema di offerta politica. C’è a destra, dove i temi prescelti sono la sicurezza, l’islam, il matrimonio per tutti. Con gli industriali che hanno bisogno di un certo consenso per far passare le ricette neo-liberiste, mentre nel paese c’è una resistenza alle riforme del mercato del lavoro e alla diminuzione della spesa pubblica. Tra i cittadini c’è confusione, un misto tra collera e attesa, delusione e bisogno di cambiamento: su idee, persone, pratiche. Macron, per esempio, lavora per occupare questo spazio e gioca sull’attenuazione della differenza destra-sinistra. Ma questa permane in Francia, dove non c’è la grande coalizione. C’è invece uno spazio per il centro-sinistra. Per questo, il primo ministro Manuel Valls guarda a Renzi, Hollande prende esempio da Schröeder e, nei fatti, il presidente cerca una posizione comune con l’Spd sul Ttip, per esempio. La mancata risposta europea, in termini di progresso economico, di solidarietà sulla crisi dei profughi, sulla Siria, non fa che aumentare il malcontento. E i cittadini non vedono quale forza politica risolverà i problemi. Per la destra è più facile, perché non è al governo, ma la radicalizzazione di questa parte politica rende la prospettiva del 2017 molto pericolosa. La destra ha già conquistato 8 regioni su 13, più molte grandi città.

La sinistra si sta chiudendo in un’impasse, trascinando il bilancio della presidenza Hollande come una palla al piede?

Il discorso è focalizzato sulla situazione attuale. È in ritardo. Si concentra sulla lotta per la presidenza, trascurando il dopo: ci sono le legislative e, nel caso di vittoria di un candidato di destra, qualunque sia il risultato della presidenziale, ci vorrebbe una forte presenza di sinistra e sinistra della sinistra in Parlamento. Il futuro non è scritto. Quello che è scritto è la delusione, la rassegnazione di Marine Le Pen al secondo turno, la vittoria della destra. Per la sinistra è un momento catartico. C’è una passività, un’incapacità a costruire delle risposte, a reagire alla sfida politica e intellettuale. Bisogna pensare al dopo-elezioni. C’è un malinteso d’origine: Hollande aveva detto quello che avrebbe fatto, aveva difeso una visione social-democratica che, nel contesto di crisi, si è tradotta in una politica social-liberista. L’altra sinistra vuole un’altra strada, ma guarda più al prima che al dopo. Quale risposta nel contesto di crisi europea? Il dibattito sull’alternativa è ridotto: o continuare una maggiore integrazione oppure uscire. Si tratta di una sfida di grande importanza. L’alternativa pare solo tra una risposta social-liberista soft oppure un populismo che incarna un ripiego.

Non ci sono grandi idee neppure a sinistra della sinistra.

La questione è trovare una risposta di trasformazione che utilizzi la crisi per instaurare un rapporto di forze che metta in scacco il liberismo. Jean-Luc Mélenchon vuole prendere una scorciatoia, o cambiamo l’Europa o usciamo. Ma per me è una falsa alternativa. Certo, cambiare l’Europa è difficile, ma è il momento per farlo.