Minamata Mandala comincia mostrando scene girate nel 2004, anno in cui usciva l’ultimo lavoro dei molti che Noriaki Tsuchimoto (1928-2008) ha dedicato durante tutta la sua vita alla sindrome di Minamata e alle sue vittime. Minamata Mandala, realizzato da Kazuo Hara dedicato proprio a Tsuchimoto, è quindi un documentario che in qualche modo continua l’impegno dello scomparso regista giapponese nel documentare la vita delle vittime, del loro dolore e delle loro lotte. I tragici fatti del più grande avvelenamento causato dall’uomo nell’arcipelago sono abbastanza noti, gli impianti della Chisso a Minamata dal 1932 al 1968 scaricano metilmercurio nelle acque del mare. Nel 1956 il primo caso della malattia di Minamata, che in realtà dovrebbe essere chiamata malattia di Chisso, scopre una scatola degli orrori, il mercurio rilasciato nelle acque arriva, tramite pesce e molluschi, fino alle persone e causa problemi neurologici, paralisi e varie disabilità mentali e fisiche.

PRESENTATO IN QUESTI GIORNI in alcuni festival internazionali, Minamata Mandala è il risultato di più di 15 anni spesi da Hara e dalla sua troupe a filmare le battaglie legali per il riconoscimento della malattia da parte di molte vittime, riconoscimento che in più di cinquanta anni di sofferenze non hanno mai ricevuto. Non c’è un minuto nelle sei ore del documentario che sia sprecato o superfluo, le scene dei confronti fra burocrati o politici e le vittime, la descrizione della difficile quotidianità di alcune persone colpite dalla sindrome e delle loro famiglie, nuovi studi portati avanti da coraggiosi professori contro la stragrande maggioranza dei loro colleghi, tutto è nel lavoro assolutamente necessario per descrivere la complessità della situazione. Perché come alcuni dei protagonisti affermano, se negli anni settanta l’impeto di rabbia delle vittime, famiglie e degli attivisti era un’ondata di protesta difficile da arginare, ora tutto sembra più blando, l’età generale è alta e molti di coloro che sono stati colpiti dalla malattia sono ora disposti a cedere e a arrivare a compromessi per poche migliaia di euro.

HARA SEGUE PERO’ chi ha deciso di non arrendersi e di battagliare per cambiare i criteri che stabiliscono chi ha la sindrome di Minamata e chi no, criteri che, si evince dal lavoro, sono stati frettolosamente stabiliti nel 1977 e da quel momento niente è stato più toccato o studiato a proposito. Una situazione che se dall’esterno sembra essere stata risolta, la malattia e le responsabilità sono state chiarite, ricompense date ed è ora di andare avanti, in realtà si tratta di insabbiamenti e soprattutto di disinteresse da parte del governo della prefettura di Kumamoto, di quello giapponese e della Chisso di offrire attenzioni e sostegno a molte delle vittime che sono state lasciate sole con le loro famiglie per tutti questi decenni. Tutto svanisce inghiottito dalla nebbia nella burocrazia, di parole vuote pronunciate da tecnici e da vittorie legali che si tramutano in mezze sconfitte. Come dichiarato da un anziano attivista che ha visto la sua famiglia vittima della sindrome “non si può vincere contro lo stato, a lungo termine vince sempre”.

In questo senso il film rappresenta, nelle parole dello stesso Hara, un punto di svolta nella sua carriera, se fino ad alcuni decenni fa infatti il settantaseienne regista era stato attratto da personaggi che sfidavano l’autorità da soli, il suo lavoro più conosciuto, The Emperor Naked Army Marches On del 1987 è proprio questo, con Minamata Mandala il suo interesse si è spostato verso la lotta, forse meno appariscente, portata avanti quotidianamente dalle persone comuni.

matteo.boscarol@gmail.com