Duccio Chiarini si era già imposto all’attenzione con il suo esordio, Short Skin, spassoso racconto dei drammi di un adolescente sofferente di fimosi. Ora approda in Piazza Grande con L’ospite che pare riprendere il discorso là dove era terminato il primo film. In quello Edo tecnicamente non poteva fare sesso. Qui invece, sin dalla prima inquadratura, troviamo i protagonisti Guido e Chiara a letto, nudi, hanno appena concluso, ma qualcosa li preoccupa perché lui sta cercando con la mano qualcosa nel sesso di lei. Si è rotto il preservativo.

Inizia così il dramma di Guido perché a partire da questo incidente Chiara chiede tempo e spazio per riflettere, lui invece lo prende per un segno del destino, che lo spinge a prendere in considerazione una paternità sinora esclusa.
Entrambi sono laureati con lavori inadeguati alla loro preparazione, il futuro è incerto, sia affettivamente che economicamente. Intanto Guido comincia a peregrinare dormendo su vari divani. Dai genitori, sempre pronti a battibeccare, agli amici: la coppia sposata con lei incinta in attesa del secondo figlio, ma invaghita di un altro uomo, l’amico sciupafemmine che dissemina disastri.

Guido vorrebbe attenzione, solidarietà, magari consigli per riconquistare l’amata, ma gli altri sembrano tutti avere problemi più impellenti dei suoi. Alla soglia dei 40, come dice il regista, il protagonista sta tardivamente vivendo il suo romanzo di formazione.
Si sorride e a tratti si ride proprio (c’è lo zampino di Roan Johnson tra gli sceneggiatori) con gli smarrimenti erotico esistenziali dei personaggi, tutti lontani dall’essere quello che avrebbero potuto apparire dopo uno sguardo superficiale. Non ci sono più i genitori di una volta.

Anche le donne sono cambiate. Il problema rimane quello dei giovani maschi sensibili che faticano a trovare una collocazione adeguata in un mondo che cambia loro tempi, modi e ruoli.
Sullo sfondo la scuola, dove Guido non vorrebbe mettere piede, ma la supplenza porta qualche soldo, il saggio su cui Guido lavora da tempo immemorabile dedicato all’amato Italo Calvino (che appare in un’intervista del ’74 di Nereo Rapetti), i noiosi convegni, accettati solo per il buffet, e un’incursione di Brunori sas. Il tutto per un racconto garbato e ironico costruito soprattutto sul volto perplesso di Daniele Parisi.