Il voto utile è spesso un ricatto, un forte limite alle scelte libere di chi vuole essere presente nelle istituzioni e viene condizionato, nel diritto alla rappresentanza, dalle decisioni politiche altrui. A volte però diventa necessario. Perchè può essere davvero determinante non solo per evitare una sconfitta, ma soprattutto per non “regalare” un territorio, una storia, a chi è non un avversario ma un nemico pericoloso: per i cittadini, per i diritti civili e sociali, per la cultura e la democrazia. Per il paese tutto.
Quel che è stato fatto e detto – dalle posizioni ostili sull’immigrazione alle decisioni contro le Ong, dal rifiuto delle diversità all’odio scatenato via web, dalle strumentalizzazioni dei bambini allo squadrismo del citofono – incarna il promemoria di quel che Salvini, Meloni e Berlusconi (si, ancora lui) potrebbero scatenare nella società e nelle istituzioni.

Per questo l’utile diventa doveroso. E oggi chi vive in Emilia-Romagna e appartiene al mondo democratico ha il dovere di non consegnare la Regione alla peggiore destra della Storia italiana. In ballo non c’è soltanto la presidenza regionale, ma il governo nazionale, non si discute di buona o cattiva amministrazione, gestita da decenni dal centro sinistra, ma il futuro, il cambiamento, la convivenza civile. Dentro il voto c’è poi il senso di appartenenza ad una società che ha spesso interpretato la parte più avanzata della comunità nazionale. Possiamo dire che in Emilia-Romagna vive un forte sentimento popolare, diffuso, radicato, profondo. La più chiara espressione di questo “vivere sociale” l’ha manifestata il movimento delle Sardine, che ha raccolto intorno a sé la migliore gioventù e le generazioni over 60 che hanno sempre scelto come “campo politico” quello democratico.

Grande sarebbe la responsabilità che ricadrebbe dunque sui 5Stelle – e sulle minoranze di sinistra/sinistra – se le destre dovessero prevalere a causa di una volontà di autoaffermazione, di un presenzialismo distruttivo, della miopia politica di chi pensa che Bonaccini e Borgonzoni pari sono. Sarebbe perciò imperdonabile negare il voto disgiunto, che appunto consente di essere fedeli al proprio partito ma non ciechi di fronte alle possibili conseguenze che potrebbe determinare una manciata di voti.

Lo stesso ragionamento vale anche per la Calabria, dove si sfidano Pippo Callipo, un candidato civico largamente stimato, e Jole Santelli, una berlusconiana ripescata: girarsi dall’altra parte, oltretutto in una terra sfigurata dalla n’drangheta, dove i magistrati vivono sotto scorta, sarebbe un drammatico errore.

Tutto questo non cancella le responsabilità delle amministrazioni regionali a guida Pd. Come appunto dimostrano la crisi calabrese e la recente, storica sconfitta in Umbria. Perchè nel campo democratico c’è una questione morale, sono troppi gli errori gestionali, manca una prospettiva di reale cambiamento, prevalgono ancora le lotte di potere, scarseggia una politica di forte difesa dei diritti sociali e dell’ambiente. Ma oggi la partita è diversa, se non si vuole trasformare l’Italia in un grande Papeete al ritmo del Bunga-Bunga.