È una relazione shock, che sbugiarda i nostri governanti. Un’informativa che getta un’ombra ancor più fosca sull’arsenale siriano che farà rotta verso il porto di Gioia Tauro tra qualche giorno. È Pino Romeo, urbanista, coordinatore del tavolo tecnico di tutela ambientale della Piana, tra i fondatori del comitato contro il rigassificatore di San Ferdinando, a consegnarla al manifesto dopo averla esposta succintamente nell’infuocata assemblea di lunedì sera, alla presenza dei sindaci in partenza per Roma. Dove ieri “l’operazione Gioia Tauro” ha avuto il via libera del governo. Un atto d’imperio, un sopruso. Contro la popolazione. In spregio alla legge italiana e alla Convenzione di Aarhus, ratificata dall’Italia con la legge 108 del 2001, che mette al centro di ogni processo decisionale la partecipazione. E lo scenario è alquanto tetro, secondo quanto emerge dalle carte in nostro possesso. «Siamo entrati in contatto con gli alti esponenti della comunità scientifica di Democritos (gli omologhi del Cnr, ndr) di Atene e del Politecnico di Creta, che parlano di completa distruzione dell’ecosistema che gravita intorno al Mediterraneo causato dalla distruzione delle ogive» spiega Romeo. La neutralizzazione delle armi siriane, insomma, avrà effetti letali, a due passi da noi. Perchè, una volta scelto Gioia Tauro, come porto su cui effettuare il trasbordo, la questione ancora irrisolta, su cui Bonino, Lupi, Mauro, Orlando e Letta prima o poi dovranno dar conto, riguarda il luogo dove verrà distrutto l’arsenale mediante idrolisi. E gli studi degli scienziati greci rassicurano ben poco. «L’armamento sarà distrutto nella zona di mare ad ovest di Creta, con la connivenza delle autorità greche, italiane e maltesi» ha detto a chiare lettere il collaboratore scientifico di Democritos, ed ex presidente dell’Unione dei chimici greci, Nikos Katsaros. «Se tale neutralizzazione sarà effettuata tramite il processo di idrolisi, non c’è da stare tranquilli. Si tratta di un metodo estremamente pericoloso, con conseguenze imprevedibili per l’ambiente mediterraneo e i popoli vicini». Gli effetti saranno la necrosi completa dell’ambiente interessato e l’inquinamento marino tra il mar Libico ed il mar di Creta. Il pesce sarà avvelenato dalla contaminazione, al pari della popolazione che lo consumerà. Di seri rischi parla il professor Evangelos Gidarakos, del Politecnico di Creta, che ha lanciato l’allarme alle autorità greche, che per ora preferiscono tacere. «Queste sostanze chimiche sono miscele di agenti pericolosi e tossici» sottolinea.
Secondo gli annunci ufficiali, le armi chimiche, dopo essere trasportate dalla Siria, saranno caricate nel porto di Gioia nel recipiente di titanio della nave americana Cape Ray. «E poi saranno distrutte col processo di idrolisi in acque internazionali tra l’Italia e la Grecia, nel tratto di mare tra Malta, Libia e Creta». Sulla consistenza dell’arsenale, i greci danno poi ben altri numeri rispetto a quelli forniti da Lupi. Gidarakos ha riferito che, da fonti attendibili, esisterebbero 1.250 tonnellate di armamenti principali ad effetto mortale, come i gas sarin e i gas mostarda, ed altre 1.230 tonnellate di sostanze precursori, utilizzate per la fabbricazione delle armi vere e proprie, principalmente composti chimici di cloro e fluoro, di per sé altamente tossiche. E poi esiste una gamma di altre sostanze acquistate da Damasco dopo l’embargo, di provenienza e natura ignota. A mettere inquietudine è, nondimeno, l’ultimo punto dello studio del Politecnico cretese. Sostiene Gidarakos che l’idrolisi produrrà una terza componente tossica che sarà formata direttamente nelle acque marine. Perché l’idrolisi non è più un processo relativamente sicuro (durante la distruzione delle armi chimiche al largo del Giappone nel secondo dopoguerra, ad esempio) in quanto oggi produce anche scarti in forma liquida, cosa che non succedeva in passato. Gli attivisti della Piana, peraltro, sconfessano Lupi anche in merito al transhipment delle armi nel porto di Gioia. «A Roma si vuol annacquare il vino con l’acqua usando tecnicismi per creare volutamente confusione. I portuali del Sul, al pari di altri lavoratori, ci hanno confermato che è vero che materiale tossico di questa categoria ne è passato negli anni lungo le banchine gioiesi, ma sostanze letali mai. Sarebbe la prima volta» conclude Romeo. Il porto calabrese si troverebbe, dunque, in una situazione di eccezionale e prolungata pericolosità visto che l’imminente carico di gas siriani equivale all’intero movimento di un anno. In una zona, che secondo la Protezione civile, è «in piena allerta sismica». Nei due giorni fatidici Gioia dovrà così smaltire un carico di sostanze pericolose che di solito assorbe (da nave a nave) in un anno intero. Possibile? Mantenendo sufficienti e «ordinari» standard di sicurezza? Agli attivisti e ai portuali il dubbio rimane.