Quando l’allegra compagnia dei Radicali italiani arriva in piazza del Campidoglio a bordo di due mini bus, insieme agli scatoloni pieni delle 33 mila firme raccolte in tre mesi per promuovere il referendum «Mobilitiamo Roma» (ne occorrevano 29 mila) arriva qualcosa di insolito.

Basta un colpo d’occhio per intuire che quello che portano in dono alla sindaca Virginia Raggi è quasi un doppio smacco al movimento pentastellato che guida le sorti della Capitale. Fianco a fianco, volontari di ogni età, 70enni e 20enni, e addirittura qualche liceale che in quanto minorenne non ha potuto neppure firmare l’iniziativa popolare, concludono orgogliosi una campagna che li ha impegnati nella raccolta firme complessivamente per 2576 ore in tre mesi, in 895 tavoli disseminati su un territorio amplissimo che va da Ostia a Tor Bella Monaca, da Largo Argentina a San Basilio, in tutti i mercati rionali e nei luoghi della movida, tra la borghesia dei Parioli e i dimenticati da dio delle estreme periferie, anche a bordo di un pulmino sulla «Linea R» che nei fine settimana batteva il litorale.

Una parte di questo piccolo esercito di attivisti (329) fino a qualche settimana fa era solo un like sui post che spiegavano la differenza tra privatizzazione del trasporto pubblico locale e la scelta «liberale» di indire gare pubbliche per affidare il servizio a gestori di ogni tipologia, pubblici e privati, pretendendo qualità ed efficienza soprattutto in periferia e «clausole sociali per la salvaguardia e la ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione». Quei like si sono trasformati in persone in carne ed ossa che hanno sacrificato vacanze e si sono messi sulla strada, a spiegare, a volte anche a discutere, in un paio di occasioni perfino a sopportare aggressioni. Soprattutto hanno scoperto il piacere di fare politica, gratuitamente e senza nulla in cambio. Per il primo referendum della storia di Roma Capitale, nella convinzione di «evitare così una privatizzazione selvaggia di Atac e di rompere il sistema perverso in cui controllore e controllato coincidono». E ora si ritrovano a gridare tra i turisti: «Sono tante e sono legali, sono le firme radicali».

«Militanza da marciapiede», la chiama Giovanni Brajato, 21 anni e da 15 mesi con i Radicali italiani, associazione alla quale si è iscritto «dopo la morte di Marco Pannella». È tra coloro che hanno coordinato «per 15 ore al giorno» la raccolta firme, insieme a Francesco Ottaviano (23 anni), Angela Capuano (38) e Federica Delogu (32). Tutti si definiscono post ideologici, in via di dismissione delle «categorie destra e sinistra», anche se sono passati per la campagna di legalizzazione della cannabis e si preparano alla prossima, «Ero straniero», forse la più impopolare di tutte, di questi tempi, quella per l’abolizione della legge Bossi-Fini. Credono nella democrazia diretta, come i 5 Stelle, ma sono «l’opposto»: «Né web, né partiti, niente guru né scelte imposte dall’alto. Noi viviamo concretamente l’iniziativa politica, con i nostri corpi, non con un clic. E ci confrontiamo su questioni che ci riguardano, non ideologiche. Abbiamo studiato e approfondito il problema dei trasporti a Roma, strumenti e obiettivi di questa campagna li abbiamo scelti insieme, in riunioni settimanali nell’arco di un anno», spiegano seduti sull’uscio del quartier generale di via Bargoni.

Qui, ogni mattina alle 6,30 un furgone passava a raccogliere il materiale per distribuirlo ai tavoli. A bordo c’era Leone Barrilli, 47 anni, per una vita tersicoreo al Teatro maggio musicale fiorentino. «Da ballerino a camionista», ride. In realtà lui è stato anche un sindacalista, e non ha pudore a dire «di sinistra». «In questo vuoto di prospettiva politica, abbiamo dato una lezione ai partiti e anche al sindacato, al M5S e al Pd – afferma -, a tutti coloro che possono permettersi di mobilitare consiglieri comunali e altre figure per autenticare le firme, mentre noi abbiamo dovuto pagare dei cancellieri».

In realtà a dare una mano – oltre ai “vecchi” leoni radicali come Emma Bonino o Roberto Cicciomessere – c’è stata anche una parte del Pd (tra gli altri Walter Tocci, Roberto Giachetti, Athos De Luca), ma in dote i dem hanno portato solo mille firme. Dai paladini della democrazia diretta invece «niente». «Lo statuto comunale impone di favorire con ogni mezzo l’iniziativa popolare, ma dalla sindaca Raggi e dal M5S, ai quali abbiamo chiesto di mettere a disposizione autenticatori, non abbiamo ricevuto nemmeno una risposta», riferisce Alessandro Capriccioli, segretario di Radicali Roma. E invece «nelle ultime settimane – racconta ancora Barrilli – non abbiamo neppure dovuto fare più lo sforzo di convincere i cittadini a firmare: c’è stata un’impennata incredibile, un coinvolgimento volontario dovuto alle stesse scelte dell’amministrazione comunale».

A questo punto, Raggi ha il dovere di indire il referendum: «Entro il 31 gennaio 2018 – spiega Riccardo Magi, il segretario di Radicali Italiani – la sindaca dovrà indicare la data che dovrà essere una domenica tra aprile e giugno 2018. In base alla legge non si può accorpare il referendum comunale con le elezioni amministrative ma non c’è un divieto di accorpamento con le elezioni regionali e politiche. Anche questa sarà una questione da affrontare».

Ma se ad andare a segno è stato il metodo «radicale» della partecipazione diretta, rimane ora da vedere quanti li seguiranno nel merito del quesito referendario. Il comitato del No è già pronto, lo presenterà Sinistra italiana il 4 settembre, chiamando alla mobilitazione tutti coloro che si oppongono alla «privatizzazione trasporto pubblico». La via d’uscita, twitta il consigliere Stefano Fassina, è una sola: «Riorganizzare Atac e cura del ferro, per Roma».