Basta la folla di cronisti assiepata nella sala Nassirya del Senato per la conferenza stampa di Matteo Renzi per capire che il ragazzo di Rignano è risorto. «Il tabellone del Senato dirà che l’accordo è possibile», scandisce. Allude a quell’accordo che lui stesso aveva messo in campo per primo. Certo a gestire le trattative non sarà lui ma il segretario Zingaretti e la formula non sarà quel governo del presidente che aveva in mente Renzi ma un governo di legislatura e politico. Particolari. Sono «richieste assolutamente da accogliere».

Quello di Renzi è un appello esplicito «a tutte le forze politiche» non accompagnato da alcuna autocritica: «Non mi pento e sono orgoglioso di aver detto no all’accordo Pd-M5S. Ma ora ci sono condizioni opposte. E’ tutta un’altra storia». Alla fine il tabellone gli darà ragione. Non solo perché la modifica del calendario votato a maggioranza dalla conferenza dei capigruppo proposta da tutta la destra unita non passa con ampio scarto ma perché nel corso di una seduta che quando prende la parola Matteo Salvini diventa una corrida le forze che dovrebbero dar vita alla nuova maggioranza, il Pd, l’M5S e Leu fanno puntualmente blocco.

E’ presto per dire che è fatta. La mossa di Salvini, che accetta di anticipare il taglio dei parlamentari, mette in difficoltà i 5S soprattutto sul piano della propaganda ma è un po’ scomposta e disperata, priva come è di possibilità concrete. Il problema è un altro. «I numeri ci sono. Ma i numeri da soli non bastano», spiega la presidente di Leu Loredana De Petris. Per un governo politico serve un’intesa politica di massima ed è su questa trattativa che si misureranno le possibilità reali di non chiudere la legislatura per aprire le urne in ottobre.

A gestire quella trattativa con l’M5S sarà soprattutto Nicola Zingaretti, sulla base di quel «lodo Bettini» che ha di fatto sbloccato la situazione e fermato in extremis la scissione del Pd. Il segretario dovrà tenersi però in equilibrio precario. Lo spettro della scissione resta ben presente. Alzare troppo l’asticella dell’intesa politica vorrebbe dire tornare alla spaccatura del Pd e all’uscita dei renziani. Mantenerla troppo bassa, in compenso, renderebbe l’intera operazione solo una fuga dal voto e gli elettori non la perdonerebbero.

Ma queste sono questioni che emergeranno in primo piano solo dopo che martedì alle 15 si sarà consumato l’ultimo atto del governo Conte. Non si voterà nessuna mozione. Il premier farà le sue comunicazioni, poi il dibattito dovrà già prefigurare una possibile intesa per dar vita a un nuovo governo, perché questo si aspetta il presidente Sergio Mattarella per non sciogliere le Camere. La trattativa vera e propria, sul programma ma anche sul capo del governo e su nomi dei ministri comincerà subito dopo e non sarà certo una passeggiata.

Per Salvini sarebbe fondamentale potersi presentare con un centrodestra unito. Il presidente della repubblica avrebbe così su uno dei piatti della bilancia una futura maggioranza già coesa e pronta a governare. Ma l’intesa tra Arcore e via Bellerio al momento non c’è, tanto che l’incontro tra il Cavaliere e Salvini, previsto per ieri mattina, è saltato. La trattativa si è arenata sulla richiesta del leader leghista di inserire i forzisti nella sua lista. Una condizione che per Silvio Berlusconi, che pure mira all’accordo, non è accettabile. Tanto più che, come segnala Mara Carfagna, i voti azzurri sono fondamentali per vincere nel sud. Senza un asse di ferro con Forza Italia, Salvini rischia di arrivare alla mano decisiva, quella che si giocherà sul Colle, senza la principale carta vincente in mano.

Per ora, infatti, Mattarella mantiene il massimo riserbo e anzi quasi fa filtrare un certo scetticismo. E’ una strategia calcolata. Il capo dello Stato vuole essere certo che la nuova maggioranza non è tenuta insieme solo dalla paura del voto ma è effettivamente in grado di governare il paese in una fase difficile e che sarà resa più ardua dal dover fare i conti con mezzo paese ostile. Soprattutto vuole avere garanzie sul fatto che i partiti sono davvero uniti nella decisione di andare avanti e senza lacerazioni che costringerebbero il governo a ballare sin dalle prime battute.

La partita non è chiusa. Ma per la prima volta da molte legislature al Senato sarebbe in campo una maggioranza solida. Non è tutto. Ma neppure un elemento secondario.