La casa editrice Orthotes pubblica per la prima volta in Italia un libro di Mladen Dolar. Si tratta de La voce del padrone. Una teoria della voce tra arte, politica e psicanalisi (a cura di Luigi Francesco Clemente, pp. 221, euro 17). Preparato da oltre un decennio da decine di volumi di Slavoj Zizek, il lettore italiano non si troverà spaesato leggendo un libro in cui si passa continuamente dalla filosofia al cinema alla politica alla psicanalisi. Infatti, Dolar, come ci ricorda il curatore nella sua introduzione, assieme a Zizek e a Alenka Zupancic è tra i fondatori della Scuola Psicanalitica di Ljubljiana. Inoltre, sempre con Zizek, ha scritto due libri, di cui uno in inglese (Opera’s Second Death, Routledge, 2002) e l’altro in sloveno (Hegel in Objekt (Hegel e l’oggetto), Analecta, 1982). Appare evidente, da parte della casa editrice, il desiderio di inserire La voce del padrone nella lunga scia del successo ottenuto dal «gigante di Lubiana», al punto che la quarta di copertina cita una «zizekata»: «Mladen Dolar non sembra un idiota e non parla come un idiota, ma non lasciatevi ingannare – Mladen Dolar NON è un idiota».

Infine, per completare il quadro delle tutele, va detto che l’edizione originale del libro di Dolar è uscito nel 2006 per le edizioni del prestigioso MIT (Massachusetts Institute of Technology), nella collana «Short Circuits» diretta dall’immancabile Zizek.

Capire perché un testo che in originale si chiama A Voice and Nothing More («Una voce e nulla più») sia stato intitolato col più suggestivo e altisonante La voce del padrone ci offre l’occasione per entrare subito nel vivo delle questioni affrontate da Dolar.

Il livello iconografico è strategico. Il libro ha come copertina un’immagine diventata patrimonio comune non solo dell’immaginario pubblicitario musicale, ma dell’intero immaginario sociale: un cane che guarda incuriosito nel cilindro di un fonografo per capire da dove provenga la voce. Si tratta del quadro che il pittore inglese Francis Barraud dipinse a tre anni di distanza dalla morte di Nipper, questo il nome del cagnolino curioso, e che, dopo diverse vicissitudini intitolò His Master’s Voice, per l’appunto, La voce del padrone. Composto e ultimato tra il 1898 e il 1899, il quadro, prima rifiutato come opera d’arte dalla Royal Accademy, poi come immagine pubblicitaria dalla Edison Bell Company, la casa produttrice del fonografo che così tanto incuriosiva Nipper, trovò una sua collocazione nel gennaio del 1900 quando la Gramophone and Typewriter Company decise di usarlo come cartellone pubblicitario per i suoi fonografi. Attualmente l’immagine è di proprietà esclusiva della Emi records e viene usata come logo nei centri commerciali Hmv (His Master’s Voice).

Dopo aver ricostruito la storia di questa icona, Dolar ne dà una profonda interpretazione: «il cane mostra la postura tipica dell’ascolto; si trova nella classica posizione di obbedienza canina, propria all’atto stesso di ascoltare. L’ascolto implica l’obbedienza; esiste un forte legame etimologico tra i due in numerose lingue: obbedire, obbedienza, deriva dal francese obéir, che a sua volta viene dal latino ob-audire, derivativo di audire, ascoltare (…) L’etimologia lascia intravedere un legame strutturale: l’ascolto è “sempre-già” una promessa d’obbedienza; non appena ascoltiamo, in maniera embrionale abbiamo già cominciato a obbedire, ascoltiamo sempre la voce del padrone, poco importa se in un secondo momento la contraddiremo. C’è qualcosa nella natura stessa della voce che le assegna un’autorità da padrone (…) E il cane, nell’immaginario fantasmatico della nostra cultura, rappresenta l’emblema dell’ascolto e dell’obbedienza».

Sebbene Dolar non vi faccia mai riferimento, la tradizione in cui questa analisi si inscrive è quella della sociologia e dell’antropologia politica che, da Simmel a Canetti a Clastres, ha pensato il potere nella forma del paradigma coercitivo comando-obbedienza. La novità è rappresentata dal fatto che questo rapporto, mentre nei primi passa attraverso le figure dell’autorità (Stato, esercito e famiglia), del prestigio e della morte, in Dolar è interamente mediato dalla voce, novità non da poco se si pensa a quanto questo medium, attraverso la potenza della telefonia mobile, regoli la prevalenza dei nostri rapporti sociali quotidiani.
Quindi, con l’analisi del quadro di Barraud, l’autore ci consegna una voce fortemente connotata in senso politico. I percorsi di lettura del fenomeno sono tanti e molto complessi, si pensi che Dolar traccia una linguistica, una metafisica, una fisica, un’etica della voce, e dedica due capitoli alla funzione della voce in Freud e in Kafka. Se privilegiamo l’aspetto politico emerso dall’analisi iconografica è perché ci consente un esercizio cognitivo sulla nostra vita politica degli ultimi anni.

L’immagine di un padrone che parla e comanda e quella di un cane che ascolta e obbedisce, rimanda ad un’altra riflessione fatta da Dolar sull’uso della voce nei regimi totalitari: «Se l’obiettivo principale dell’oratore fascista era produrre un Evento qui e ora, se il fascismo concentrava tutti i suoi sforzi nel meccanismo della fascinazione e dello spettacolo, se la voce era il mezzo ideale per produrre un tale evento stabilendo un legame diretto tra l’oratore e le masse, la preoccupazione principale dei congressi del Partito stalinista era che nulla accadesse, che tutto si svolgesse secondo un copione prestabilito». Nel primo caso abbiamo l’uso plateale di una voce che non si appoggia mai a un testo scritto, nel secondo la grigia esecuzione di uno stampato.

L’esercizio cognitivo che questa riflessione ci consente consiste nel classificare le performances comunicative dei leader politici italiani che hanno dominato e dominano la scena pubblica degli ultimi cinque anni, in orali e in scritte, secondo le coordinate di Dolar, per poi chiedersi, in seguito, quando si ha un po’ di calma e si è rilassati, quale sia lo stato della democrazia.