Ricapitoliamo.

Il parlamento non può lavorare perché non c’è il governo.

Il governo non può lavorare perché non c’è una maggioranza chiara.

La maggioranza non può lavorare perché non c’è un presidente della Repubblica che la ottenga con le buone o con le brutte.

Il presidente della Repubblica non può lavorare perché attende il nome del suo successore «fino all’ultimo giorno del suo mandato».

Detta così, e finora è così, la situazione appare inestricabile. Eppure qualcosa si muove. E non è tanto e non solo per gli affondi di Matteo Renzi a «fare qualcosa». E’ anche perché il segretario del Pd, sbeffeggiato da tutti da Crozza in giù, qualche carta da giocare ce l’ha. A cominciare dalla madre di tutte le trattative, quella sul prossimo inquilino del Quirinale, vero patto costituente non scritto della Terza Repubblica.

Incassata una sintonia di fondo con Mario Monti – obbligata anche alla luce della possibile riforma elettorale – il segretario del Pd continua a giocare su un doppio binario: da una parte un governo da lui presieduto, dall’altra una nomina «più condivisa possibile» del prossimo capo dello stato. Molto dipende da Berlusconi e dall’esito del possibile incontro con Bersani alla vigilia delle votazioni per il Quirinale.

Anche il Cavaliere si tiene tutte le strade aperte. Ufficialmente è in campagna elettorale permanente e dopo Roma prenota altre piazze (Bari e Brescia). Sa però che in estate non si voterà e che più passa il tempo più i sondaggi oggi favorevoli potrebbero cambiare. Ciò che accomuna Bersani e Berlusconi, del resto, è che entrambi sarebbero penalizzati in caso di «discesa in campo» del sindaco di Firenze. «Le trattative proseguono in via riservata – ammettono nel Pdl – ma non c’è ancora il clima per un faccia a faccia decisivo».