«Il Penguin Cafe sta ’nel Paese di Polonia’, cioè in nessun luogo: probabilmente a Gombi, dunque, quel posto ’che a cercarlo su una carta geografica non lo trovereste mai perché sta solo su qualche vecchia mappa militare del distretto di Nairobi, Africa Orientale Britannica’, là dove vivono Anna e Daniele e ognuno di noi potrebbe dire d’esser stato, in fondo, se la memoria scorgesse al di là della vita». In questo passaggio, Riccardo Bertoncelli, tenta di tracciare le coordinate della musica della Penguin Cafe Orchestra, dando poi vita ad uno dei saggi più belli della sua raccolta Paesaggi Immaginari. Il disco al quale si riferisce il critico è il primo lavoro di Simon Jeffes e la sua Orchestra, quel Music From Penguin Café (1976) uscito per la Obscure Records, etichetta fondata da Brian Eno dopo la sua fuoriuscita dai Roxy Music.

Arthur Jeffes – figlio di Simon e erede della tradizione della Penguin Cafe Orchestra, oggi diventata semplicemente Penguin Cafe – ci spiega il motivo per il quale Eno decise di produrre il primo album della PCO: «Penso che la metà degli anni settanta a Londra sia stato un periodo molto interessante e Brian Eno uno degli esponenti di massimo rilievo. Era amico dei miei genitori e credo che l’aspetto che più trovava affascinante nel gruppo, era la capacità di creare una musica interessante come quella di Cage o Stockhausen ma capace di raggiungere il cuore delle persone».

Impossibile inquadrare il sound della PCO, che scivola negli anfratti di una memoria che raccoglie mille altre esistenze che mai avremmo pensato di aver vissuto. The Sound Of Someone You Love Who’s Going Away And it Doesn’t Matter è la vetta più alta di quella prima, meravigliosa raccolta.

L’eredità della Penguin viene oggi portata avanti dal figlio di Simon Jeffes, insieme alla sua Penguin Cafe ha realizzato recentemente il cd The Red Book, anche se gli attriti con gli ex componenti dell’Orchestra – che sono andati a formare gli Anteaters – non sono mancati. «Il modo di fare musica di mio padre» – spiega Arthur – «era caratterizzato da un attento bilanciamento di suoni e arrangiamenti, e procedeva per sottrazione piuttosto che per accumulo. Per far funzionare la ’nuova’ band dovevo necessariamente non dipendere dai pur eccellenti musicisti della prima PCO. Inevitabile.».

La volontà di portare avanti il lavoro iniziato dal genitore è frutto di un susseguirsi di incontri e esperienze: «Nel 2007 sono tornato insieme ai componenti della prima line-up e abbiamo suonato tre concerti in occasione del decimo anniversario dalla morte di mio padre. È stato bello ma non pensavo che avrebbe potuto continuare, doveva finire lì. Un anno dopo, mi è stato chiesto di suonare qualcosa per un festival organizzato sul monte Amiata, in Toscana. Ho portato con me tre amici ed è stato davvero divertente. Da allora hanno continuato a chiamarci, abbiamo ampliato il repertorio e dopo qualche mese ci siamo ritrovati a suonare al Festival di Glastonbury; è stata un’esperienza talmente bella che mi ha fatto decidere di ripartire con la band, scrivendo un altro capitolo della storia».

Nel 2011, A Matter Of Life è l’album della «nuova era», seguito da The Red Book. Il disco non può pretendere di essere uguale alle opere del passato, epur nel solco dell’esperienza e dell’influenza paterna. Arthur ci spiega le differenze tra questo lavoro e i precedenti: «Credo che abbiamo finito con il creare qualcosa di maggiormente cinematografico. Ma questo è soprattutto il risultato dell’avere molto più tempo a disposizione. Inoltre, tra i nuovi e i vecchi lavori della Penguin Café è cambiato anche il processo di registrazione. Mentre gli album della PCO venivano registrati su nastro, noi usiamo il computer».

The Red Book sembra delimitare maggiormente i confini sonori; brani come Black Hibiscus – che si apre sulle note del Preludio No.20 in Do di Chopin per poi veleggiare su territori apparentemente in completa antitesi rispetto a quello di partenza – mettono in evidenza la volontà di tentare nuove sperimentazioni. «The Red Book – conclude Arthur – «ci definisce bene: un nuovo gruppo di musicisti che esplorano lo stesso mondo musicale. Il mondo che mio padre ha creato/scoperto, è ancora pieno di territori inesplorati».