Osservando l’universo globale che ha preso forma non senza contraddizioni di fronte a noi, si sarebbe portati a concludere che la religione occupa più che mai un ruolo di primo piano nelle biografie degli individui come tra gli issue che muovono la geopolitica internazionale. Riflettere su questi temi con serietà e cultura, lontano dai toni spesso enfatici e allarmistici del dibattito mediatico risulta perciò, più che utile, decisamente necessario.

È quanto si sono impegnati a fare Tariq Ramadan e Riccardo Mazzeo nel corso dei loro colloqui parigini dello scorso anno, oggi raccolti nel volume Il musulmano e l’agnostico (Erickson, pp. 160, euro 10). Tra gli esponenti più noti dell’Islam occidentale il primo, già interlocutore privilegiato di numerose istituzioni europee come del circuito altermondialista e dei movimenti delle banlieue francesi, editor e intellettuale raffinato il secondo, che ha firmato diversi libri in forma di conversazione, con, tra gli altri, Zygmunt Bauman ed Edgar Morin, Ramadan e Mazzeo riflettono sul ruolo della fede nelle nostre società, a partire da quella islamica, e sull’orizzonte possibile di un dialogo che, fondandosi sulla conoscenza reciproca, possa prendere il posto dei conflitti, reali e simbolici, che dominano invece attualmente la scena.

IL PRESUPPOSTO da cui muove il loro dialogo è che la ricerca di senso, e di consolazione, a cui risponde l’afflato individuale della fede, che lo si possieda o meno, non deve in alcun modo essere confuso con «la malaugurata tendenza da parte degli esseri umani a fare un uso tutt’altro che religioso delle religione, a strumentalizzare la fede per farne un mezzo di potere», come sottolinea Mazzeo citando Bauman.

Se il problema centrale risiede perciò nel separare questa visione egemonica, ciò che si definisce d’abitudine come «fondamentalismo» per il richiamo a fonti che si vogliono originarie e insindacabili tali da assicurare un primato sul resto della comunità dei fedeli come sull’intera società, dal sentimento religioso in quanto tale, resta da chiarire il percorso che ci ha condotto fin qui. Ed è su questo tema che il breve ma denso volume offre alcuni dei suoi spunti più significativi.

Il mondo globalizzato e individualizzato del neoliberismo, dove domina la figura baumiana del «cacciatore», solo contro tutti e in qualche modo in guerra permanente con i propri simili per la propria supremazia, dove la «tecnica» e «la prestazione» hanno il primato su tutto, è il contesto dal quale traggono alimento le spinte rigoriste, specie, ma non soltanto, in ambito musulmano. Secondo Ramadan, «l’idea che si resisterà a questa evoluzione tecnica della società capitalista e neoliberista suscita da parte dell’universo religioso una posizione che spinge per un rafforzamento del dogma, della regola».

UNA TENDENZA che vale per le sfide globali come per quella delicata e decisiva partita che si gioca in seno alle società occidentali dove la presenza musulmana è al centro di grandi polemiche e viene utilizzata come spauracchio per erigere nuove barriere, non solo di natura culturale.

In questo senso, all’«ipertrofia della legge», norme contro il velo, la costruzione dei minareti, le mense halal per i più piccoli, corrisponde nei fatti anche una chiusura e una deriva «letteralista» in seno all’Islam. Come accade in Occidente, anche nelle società musulmane, «il populismo religioso strumentalizza la religione per distinguere, per legalizzare la differenza, l’opposizione, e per mettere una distanza, per erigere dei muri fisici e virtuali, cioè con la legge».

IL FONDAMENTALISMO appare perciò per questa via anche come uno degli esiti di una sorta di impoverimento culturale della fede, ciò che lo studioso francese Olivier Roy ha definito nella sua opera omonima come La santa ignoranza (Feltrinelli), ridotta in questi casi ad un sistema di norme più che ad un’evocazione interrogativa della coscienza.

È invece il tratto filosofico della religione, il suo interrogarsi non solo sul mistero della vita e della morte, ma anche sulla presenza degli altri intorno e dentro di noi, elemento quest’ultimo che Ramadan pone alla base di una «coesistenza positiva» in grado di ridefinire una nuova identità europea a vocazione plurale, che il dialogo tra i due studiosi permette di esplorare in modo fecondo.

CON UN EPILOGO, parziale, che non a caso Riccardo Mazzeo affida alle parole della protagonista dell’ultimo romanzo della scrittrice turca Elif Shafak, Tre figlie (Bompiani), da tempo impegnata per conservare l’intreccio tra fedi e culture proprio della sua terra: «l’assolutismo, di qualunque genere sia, è sempre una debolezza. Per come la vedo io, ateismo assoluto e fede assoluta sono ugualmente problematici. (…) Il problema, oggigiorno, è che al mondo contano più le risposte delle domande, ma le domande dovrebbero valere molto di più!».