Sarà forse questa la volta buona perché le italiane e gli italiani possano affrontare la decisione di divorziare senza prevedere un decennio da incubo? Il mondo parlamentare sta urlando di sì, che finalmente ci siamo, e guardate quanto siamo bravi vi faremo avere una nuova legge molto-molto-molto più moderna e adatta ai tempi e attenta ai bisogni delle coppie e naturalmente dei figli, soprattutto se minori…

Ecco, se spegnete gli altoparlanti della propaganda, possiamo tentare di ragionare intorno alla notizia super strombazzata, che poi è la seguente: la commissione giustizia della camera ha dato il via libera a un testo bipartizan che, se gli emendamenti presentati non saranno troppi, potrebbe andare in aula entro maggio, ma dovrà prima passare le forche caudine delle audizioni (Bagnasco è già stato calendarizzato?), e prevede un solo anno di attesa fra separazione e divorzio, nove mesi se c’è il consenso di entrambi i coniugi e non vi sono figli minori.

La notizia ha un vago sapore elettorale, meno vago quando si consideri che l’annuncio è stato dato, per parte Pd, da colei che viene indicata (mentre si scrive, ma mentre leggete potrebbe esserlo a tutti gli effetti) come capolista del collegio Nord-Est.

Non state saltando di gioia? No, e c’è da capirvi. Non siete i soliti guastafeste a cui non va mai bene niente, neanche quando una norma delicata e decisiva per la vita delle persone, quale è la procedura per sciogliere un matrimonio, viene sensibilmente migliorata dai nostri amati politici. Come voi la pensano sia la Lega italiana per il divorzio breve, sia molti degli addetti ai lavori. Dice ad esempio Marina Marino, avvocata romana esperta di diritto di famiglia: «Era ora, la situazione era ormai insostenibile. Ma potevano andare un pochino oltre e lasciare alle coppie la scelta se passare attraverso la separazione o andare direttamente al divorzio. Anche in presenza di figli minori, che sono comunque tutelati».

La giustificazione dell’anno di attesa è, come è noto, fra le più antistoriche e le più ipocrite che si conoscano. Una percentuale bassissima di coppie cambia idea durante il limbo della separazione (e comunque bastava, come dice Marino, lasciare l’opzione a chi voleva percorrerla, senza renderla obbligatoria).

Quanto all’ipocrisia, chiedete a don Paolo Gentili (Cei) perché è così contrario all’accorciamento dei tempi di attesa previsti dallo stato italiano mentre il Vaticano sta dimezzando la procedura per ottenere la nullità del matrimonio, il divorzio dei cattolici. Nullità il cui volume è di parecchio aumentato negli ultimi tempi: forse perché le persone sono stanche di aspettare le calende greche della giustizia laica?

Ed è proprio su questo punto che insiste la Lega per il divorzio breve.

Diceva in un recente comunicato il segretario Diego Sabatinelli, toccando il nervo scoperto: «Le aule di giustizia continueranno ad essere affollate di cause doppione, separazione e divorzio, e per i cittadini, oltre che per lo Stato, i costi rimarranno gli stessi».

Così è, nel senso che se oggi un divorzio non richiede mai tre anni per concludersi, ma minimo cinque massimo dieci (a seconda del tribunale dove si incardina la causa, scendendo da Trieste a Foggia), l’anno di attesa peraltro ancora di là da venire tra le due fasi si trasformerà inevitabilmente in due, tra, quattro rotazioni intorno al sole.

E la politica italiana dovrebbe interrogarsi se abbia senso costringere i suoi cittadini a scappare in altri paesi europei (Austria e Romania i più gettonati e sono 2000 ogni anno le coppie che vi ricorrono, dati del ministero) per avere più in fretta quel pezzo di carta che, anziché peggiorare, migliorerà le loro vite. Liberandole da un legame che non ha più senso.