Pochi giorni prima dell’inizio delle commemorazioni del 9/11, la deputata socialista Ilhan Omar si è rivolta pubblicamente al presidente Biden chiedendogli di graziare il whistleblower Daniel Hale, ex membro dell’aeronautica statunitense condannato a luglio a 45 mesi di carcere per aver divulgato informazioni classificate che hanno rivelato il programma statunitense dei droni e degli omicidi mirati. A marzo Hale si era dichiarato colpevole per aver violato l’Espionage Act, una legge risalente alla prima guerra mondiale, e nella sua lettera a Biden, Omar ha scritto: «La questione legale della colpevolezza del signor Hale è risolta, ma la questione morale rimane aperta. Credo fermamente che sia giustificato un perdono completo, o almeno una commutazione della sua pena».

A 20 anni dagli attentati dell’11 settembre, l’immagine pubblica dei whistleblower è cambiata. «Whistleblowers set us free» è la scritta che campeggia su una maglietta molto popolare tra gli attivisti americani, ma in Usa non è più necessario essere un attivista per condividerne il senso.

Figure come quelle di Hale, Edward Snowden, Tom Drake, Chelsea Manning, John Kiriakou e una miriade di altri whistleblower incombono su un mondo sempre meno popolato da personaggi aderenti alle regole, invece fedeli al «dissenso patriottico», come lo ha definito il veterano, scrittore ed attivista Danny Sjursen, che ha prestato servizio sia in Iraq che in Afghanistan, ed ora è autore di un’analisi critica della guerra in Iraq, nella quale ha coniato questa espressione per spiegare lo spartiacque creato da quella guerra nel concetto di patriottismo.

Per un anno dopo l’attacco alle torri qualsiasi segno di critica nei confronti del governo veniva percepita come un’imperdonabile aggressione al sacro amor patrio. La guerra in Iraq e poi le rivelazioni di Chelsea Manning sui crimini compiuti dall’esercito Usa in Iraq e Afghanistan, hanno portato a un cambio di registro. Se non fosse stato per l’atto di dissenso patriottico di Manning quei crimini sarebbero stati insabbiati, così come a Snowden si deve la presa di coscienza del programma di sorveglianza di massa del governo sui suoi stessi cittadini, sempre in nome dell’antiterrorismo.

Nonostante questo cambiamento di percezione sui whistleblower da parte dei cittadini statunitensi, Washington continua a tenerli sotto scacco come dimostrano i casi di Assange, Manning e Snowden, per citare 3 figure chiave delle battaglie per l’uso di internet, i segreti di stato e la sorveglianza di massa nell’era della lotta al terrorismo, che hanno reinventato le prassi di rivolta.

Per avere accesso alle informazioni riservate e compromettenti che rendono pubbliche, i whistleblower provengono spesso dall’ambiente militare, e la spiegazione più ricorrente su cosa li ha spinti a trasgredire alle leggi non è in contraddizione con questo: «Ho giurato sulla costituzione di proteggere gli Stati Uniti da ogni loro nemico, esterno o interno».

I programmi di intelligence interna dal 9/11 sono cresciuti, spinti dalla paura per il terrorismo e sostenuti da leggi e politiche che consentivano alle agenzie governative di accumulare dati sui cittadini. Spesso questi programmi hanno preso palesemente di mira le comunità musulmane negli Stati Uniti, trattandole come intrinsecamente sospette a causa del loro credo religioso. Oltre a fornire strumenti per sopprimere il dissenso politico e i movimenti per la giustizia razziale, visti come una minaccia per l’ordine sociopolitico esistente.

Kiriakou è diventato il primo whistleblower a confermare che il waterboarding, una forma di tortura, era prassi ufficiale degli Stati Uniti. «L’11 settembre – ha scritto – è stato lo spartiacque che ha cambiato in modo permanente il nostro modo di vivere. Non torneremo mai e poi mai nel nostro Paese del 10 settembre».

Negli ultimi 4 anni sono state presentate numerose proposte di legge per colmare le lacune e porre fine ai ritardi legali affrontati dai whistleblower, ma il Congresso deve ancora agire su qualsiasi correzione sostanziale per le leggi che si occupano dei loro casi.