I lavoratori hanno diritto a esprimere pubblicamente opinioni critiche rispetto alle scelte delle proprie aziende? A giudicare dai licenziamenti messi in atto e da alcune sentenze, la giurisprudenza del lavoro sta mutando verso una compressione della libertà di opinione. Se ne discute stamattina a Napoli (ore 9 Antisala dei Baroni) nel convegno «LicenziaNo le opinioni» con interventi, tra gli altri, del sindaco Luigi de Magistris, Paolo Maddalena (vicepresidente emerito della Corte Costituzionale), Eleonora Forenza (europarlamentare di L’Altra Europa con Tsipras), Sergio Puglia (senatore M5S), Amarilys Gutierrez Graffe (Console Generale del Venezuela) e ancora Moni Ovadia, Francesca Fornario, Valeria Parrella e Ascanio Celestini.

Al centro del dibattito c’è la vicenda di cinque lavoratori dell’ex Fiat (poi Fca) di Pomigliano d’Arco: uno, Mimmo Mignano, operaio dello stabilimento Giambattista Vico e gli altri quattro del Wcl, il reparto logistico di Nola. Sono stati licenziati nel 2014 per aver messo in scena all’ingresso del Vico l’impiccagione di un manichino con la foto di Sergio Marchionne sul viso. Accanto avevano deposto le immagini di Maria Baratto, operaia del Wcl morta suicida dopo sei anni ininterrotti di cassa integrazione, di Giuseppe De Crescenzo, altro operaio del Wcl suicidatosi tre mesi prima di Baratto, e di Vincenzo Esposito Mocerino, operaio della Devizia, ditta di pulizie dell’indotto, morto cadendo in una vasca in disuso del Giambattista Vico. La cig andava avanti da anni, il sito di Nola non aveva una missione produttiva e non si vedevano prospettive per il futuro. Molti operai non riuscivano a pagare l’affitto, qualcuno era finito in mano agli usurai. Il parroco di Pomigliano, don Peppino Gambardella, aveva organizzato una rete di sostegno.

«Due suicidi e tre tentati suicidi su 316 lavoratori del Wcl, questo abbiamo denunciato – spiega Mignano -. Secondo il giudice di Nola e Fca, gli operai non hanno il diritto di opinione». I licenziamenti sono stati confermati due volte dal Tribunale di Nola. Secondo il giudice, le manifestazioni avrebbero «travalicato i limiti del diritto di critica e si sono tradotte in azioni recanti un grave pregiudizio all’onore e alla reputazione della società resistente, arrecando alla stessa in ragione della diffusione mediatica che esse hanno ricevuto, anche un grave nocumento all’immagine». I cinque sono senza alcun reddito da maggio 2015, con il nuovo ricorso la causa da Nola passa a Napoli, l’udienza è fissata per martedì prossimo.

Mignano era già stato buttato fuori dal Lingotto nel 2007, dopo un’azione di informazione con megafono e striscioni in una concessionaria Fiat. Il giudice del lavoro, dopo sette anni, lo reintegrò perché «licenziamento sproporzionato e pertanto illegittimo». Il tempo di rientrare, è stato buttato fuori di nuovo. A maggio 2015 è rimasto per sei giorni sospeso su una gru nel cantiere della metropolitana di Napoli. Lo scorso agosto con i suo compagni si è accampato in tenda fuori i cancelli Fca a Pomigliano per dieci giorni, poi si sono spostati in presidio permanente a Napoli in piazza Municipio. Oggi il convegno e poi l’assemblea in conclusione. Martedì dalle 10 manifestazione all’ingresso della Corte d’Appello del Tribunale partenopeo. La mobilitazione andrà avanti fino alla sentenza.