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Il disperato ricatto a Napolitano e al Pd

Il disperato ricatto a Napolitano e al PdSilvio Berlusconi – Reuters

Crisi a orologeria Berlusconi convoca a sorpresa tutti i parlamentari e si fa consegnare le dimissioni in bianco. Congelate fino al voto della Giunta sulla sua decadenza. Poi si vedrà. Il Cavaliere ai suoi: «Ho passato 55 giorni di passione. È in atto un golpe»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 26 settembre 2013

Cimquantacinque giorni di passione. Tanto durò, in situazione decisamente più tragica, la prigionia di Aldo Moro e tanti ne ha passati «senza dormire», tormentato dall’idea che lo vogliano «cacciare dalla storia con accuse infamanti», Silvio Berlusconi. Parole sue, pronunciate commosso di fronte alle assise dei parlamentari forzisti. Chissà se la sinistra citazione è casuale o studiata ad arte. I chili persi dal condannato, invece, sarebbero 11: «Uno per ogni anno di condanna, i 4 di Mediaset e i 7 del processo Ruby».
Segue replica fedele del noto videomessaggio, con tanto di accuse di golpe rivolte alla «sinistra criminale». Il tutto condito con l’immancabile comizio elettorale: «Con Fi abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo e i sondaggi ci danno il 36%».
I parlamentari hanno già scelto, ovviamente in piena libertà, di rassegnare le dimissioni nelle mani dei capigruppo. I quali se le terranno in tasca fino al voto della Giunta sulla decadenza di Berlusconi, il 4 ottobre o giù di lì. Poi decideranno se destinarle al cestino o agli indirizzi dei presidenti della camere.
E’ una sterzata tanto improvvisa quanto imprevista. Appena 24 ore prima il capo dello Stato aveva cercato di strappare ad Angelino Alfano l’impegno a blindare il governo per un anno. Non ci era riuscito, ma era convinto di aver ottenuto almeno «segnali incoraggianti». Da giorni e giorni, inoltre, la strategia dell’ex Pdl prevedeva come probabile punto di rottura il braccio di ferro sul fisco, mentre l’intemerata sulla decadenza del capo, almeno ufficialmente, non figurava più tra le possibili cause di rottura. La stessa assemblea dei parlamentari era ancora in forse e comunque non si sarebbe dovuta svolgere prima di domani.
Cosa è cambiato? Perché il vertice dello stato maggiore che inizia a palazzo Grazioli all’ora di pranzo e si prolunga poi sino al pomeriggio inoltrato sceglie invece di attaccare sul fronte della decadenza? E’ solo l’ennesima mossa disperata, tentata ala cieca per ottenere dal Colle quello che il Colle non può dare, uno scudo contro qualsiasi minaccia di arresto o qualcosa di più serio? Nssuno può dirlo.
I parlamentari che affluiscono verso l’assembleona, confessano candidamente di non avere idea di cosa sia successo. I ministri che, con Alfano in testa, incontrano in giornata Franceschini sembrano caduti da un altro pianeta. Sono incaricati di trattare in vista del consiglio dei ministri di venerdì, che deve varare una manovra da 3 miliardi. Per il resto, poco sanno e niente possono.
Di certo, sull’irrigidimento pesano più di ogni altro elemento i terrori del Cavaliere (che ieri ha preso la residenza a Roma, palazzo Grazioli, in vista dell’affidamento ai servizi sociali). «Mi arresteranno», ha ripetuto nel corso del vertice pomeridiano. Le deposizioni fiume di de Gregorio a Napoli sulla compravendita dei senatori e l’inchiesta milanese sul tentativo di condizionare i testimoni del processo Ruby spiegano le fosche previsioni del leader pregiudicato.
La scintilla che ha dato fuoco alle polveri, però, è l’ennesimo diniego opposto dal capo dello Stato alle richieste avanzate da Alfano nel corso dell’incontro di martedì. Quelle di sempre, la grazia, o comunque qualche passo in grado di mettere il quasi-decaduto al riparo da eventuali ordini di arresto. E quella di sempre era stata la risposta di Napolitano: «Impossibile».
Infine, ma in subordine, c’è un quadro complessivo dell’assurda mai così deteriorato: la certezza che senza nuove tasse, più o meno camuffate, non si riusciranno a far quadrare i conti secondo diktat europeo, il braccio di ferro sul tetto ai finaziamenti privati ai partiti, le posizioni sempre più dure di un Pd che non può permettersi neppure il sospetto di mollezza con il nemico-alleato…
I parlamentari, dopo essersi prodotti in una raffica di acclamazioni e standing ovation, votano per acclamazione la consegna delle dimissioni ai capigruppo. Forse, sussurra qualcuno, la Lega li seguirà Ma cosa speri di ottenere il Berlusconi disperato rimane oscuro. Altrettanto dicasi di cosa ne sarà delle dimissioni congelate. Crisi o ammuina? Non lo sa nessuno. Nemmeno Silvio Berlusconi.

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