In molti conoscono la produzione di disegni, bozzetti e vignette di registi come Federico Fellini o Ettore Scola, ma sono tanti di più, nel panorama cinematografico italiano, a lasciarci quella che Anna Maria Montaldo definisce «una testimonianza visiva del loro lavoro». Il di/segno del cinema – al Palazzo di Città di Cagliari dal 23 luglio al 27 settembre – è insieme una mostra ed una rassegna cinematografica che mira proprio ad indagare il rapporto tra segno grafico e cinematografico, aprendo una prospettiva inedita sul lavoro dei registi italiani. Curatori del progetto, oltre a Montaldo, sono il critico Giona Nazzaro ed il regista Giovanni Columbu.

Ed è proprio nello studio del regista sardo che nasce l’idea alla base di questa esposizione trasversale: «ero andata nello studio di Giovanni Columbu per vedere le sue opere e farne una mostra – racconta la curatrice – ma poi ho pensato che sarebbe stato interessante provare ad esplorare il momento creativo che precede ed accompagna la lavorazione di un film». «Ci sono registi – continua – che riempiono decine di taccuini di piccoli disegni, colorati o solo tratteggiati; appuntano storie che hanno un’evoluzione, o restano solo sulla carta, o si mischiano tra di loro».

Su questa sconfinata produzione verterà la mostra, ma negli oltre due mesi in cui avrà luogo l’evento cagliaritano ogni week-end gli spettatori potranno anche assistere alle proiezioni dei film collegati a questo lavoro creativo di preparazione ed agli incontri con i loro registi. Oltre a quelli di cui è ben nota, dice la curatrice, «l’attitudine a dipingere e la capacità nel farlo», come Marco Bellocchio, ci sono i lavori di coloro che Giona Nazzaro chiama «gli eterni giovani del cinema italiano: quelli che raramente vengono considerati nella stessa famiglia dei maestri». Nomi come Pietro Marcello, Alberto Fasulo, Carlo Hintermann, Michelangelo Frammartino, o anche Mario Martone che « fa ancora fatica ad essere ritenuto appartenente alla stessa casa di Scola e Bellocchio».

«L’idea di fondo – spiega infatti il curatore – è che questa rassegna sia anche un tentativo di dare una lettura del cinema italiano un po’ diversa da quella che ci propinano in continuazione, che metta in contatto autori diversissimi tra loro. È il tentativo di pensare il nostro cinema al presente e di dire che queste persone lo fanno a pari merito di quelle che l’hanno fatto in passato».
La trasversalità del segno grafico e cinematografico riguarda anche la natura delle opere esposte. «I disegni sono di vario tipo – continua Nazzaro – sia in relazione al film da fare che estemporanei. Alcuni si possono fruire anche da soli, altri vanno contestualizzati per calare nel percorso operativo del regista». In ogni caso non sono parte di un compendio sul lavoro di un grande filmmaker, ma «elementi di una riflessione critica sull’apparato filmico».

E non si tratta solo di opere pittoriche o grafiche: «I costumi di Lina Nerli Taviani – spiega Anna Maria Montaldo – diventano una parte fondante dei loro racconti». Così come «i disegni digitali di di Carlo Hintermann ci parlano con un mezzo che può sembrare freddo ma diventa invece poetico». O come i bozzetti degli effettisti di Makinarium che hanno lavorato ai «mostri» di Il racconto dei racconti di Matteo Garrone. «Nel caso di Alberto Fasulo – sottolinea Nazzaro – abbiamo dei veri e propri schizzi istantanei che servono per fare il punto sul lavoro, mentre in quello di Mario Martone non ci sono disegni ma studi fotografici. Sono materiali diversificati, lo spettro è molto ampio».
Perché al cuore della mostra sarà anche, con le parole di Montaldo, «l’ibridazione dei linguaggi artistici»: che attraverso il plastico di un mostro fantastico, una sequenza di foto o un bozzetto tratteggiato rapidamente parla, al presente, del cinema italiano.