Che 25 aprile sarà? Difficile prevederlo, anche perché qui a Milano, la piazza più importante, il banco di prova dell’aria che tira in Italia da sessantotto anni a questa parte, stranamente tutto tace. Ma molti mugugnano.

Un problema c’è. Essendo spontaneamente una piazza piuttosto composta, per rispetto alla storia più che alle istuzioni, a Milano il 25 aprile bastano quattro fischi di protesta per scatenare le peggiori reazioni isteriche, come se la manifestazione del dissenso non fosse il sale di una festa che si chiama appunto della Liberazione (in rete stanno circolando le esternazioni battagliere di un altro presidente, Sandro Pertini, roba che gli editorialisti de la Repubblica oggi invocherebbero la corte marziale).

Ma in rete circola di tutto, è vero. Però fa specie che il sito dell’Anpi venga preso a male parole solo perché il presidente, Carlo Smuraglia, oggi sul palco, si è limitato a definire «stimabile» il “nuovo” presidente della Repubblica. Stimabile? E giù considerazioni poco carine sul momento politico che non può non segnare anche la piazza più sensibile ai valori – se ancora si può dire – della sinistra. Ecco perché il sindaco Giuliano Pisapia, senza troppo enfatizzare, ha lanciato il suo messaggio ecumenico per una manifestazione pacifica nel rispetto delle istituzioni: «Credo che la loro presenza sia un segnale di forte attenzione, indipendentemente dalle posizioni di ciascuno su governo e politica». Per concludere: «Serve forte unità come è stato per la Resistenza e con la Resistenza».

Tra i rappresentanti delle istituzioni oggi ci saranno due prime assolute: il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni – fin troppo facile da contestare – e la presidente della Camera, Laura Boldrini – al suo debutto sul palco in piazza Duomo. Ma, pur nel rispetto delle istituzioni, quello che oggi nessuno può chiedere ai milanesi, tanto più il sindaco Pisapia, è di mettere tra parentesi «governo e politica», come se la piazza storica della sinistra italiana possa sorvolare sul fatto che proprio in queste ore il nipote di Gianni Letta sta formando un governo politico di «larghe intese» con Silvio Berlusconi.

Oggi in Porta Venezia (ore 14,30) non ci sarà una sola persona che lo scorso febbraio ha votato centrosinistra per arrivare a un esito così catastrofico. Di qualcuno sarà pure la colpa. E non sarebbe così sorprendente, né antidemocratico, se i cittadini ne approfittassero per far sentire civilmente la loro indignazione. Peggio sarebbe una piazza priva di forze e senza parole.