Fatti molto diversi tra di loro, apparentemente incomparabili, possono essere accomunati da un elemento fondante, seppur non in grado di determinare, e di spiegare, da solo la loro eterogenea genesi. Tale elemento, un fattore facilitante, oltrepassando i singoli fatti eterogenei da esso co-determinati, segnala una tendenza generale, che spesso rivela un rischio.

Il disagio del pudore è l’elemento che accomuna l’intreccio di stravaganze in cui si è impigliata Virginia Raggi, sindaco di Roma, e l’omicidio compiuto da un giovane uomo, a Vasto, ai danni di un ragazzo, colpevole di avere causato, in un incidente stradale, la morte di sua moglie.

Sia la tragicomica faccenda della polizza Vita intestata a Raggi dal suo più stretto collaboratore, che l’assassinio compiuto a Vasto, hanno cause più complesse dell’eclissi del pudore. Tuttavia, questo aspetto condiviso configura i due eventi come «fatti di costume», delineando i tratti di una mentalità collettiva anonima che se da una parte facilita la loro realizzazione dall’altra resiste a una loro vera elaborazione.

Nel caso di Virginia Raggi, il venir meno del pudore porta a mescolare con indifferenza fatti privati e atti pubblici. Non c’è bisogno di «gole profonde» per lavare i «panni sporchi» in presenza di tutti, quando la disinvoltura si fa disinibizione.

La trasparenza, «il non aver nulla da nascondere», da questione politica e civile è diventata oggetto di marchingegni legali. Si possono commettere leggerezze gravi in modo spensieratamente esibito perché non è importante dimostrare di essere seri e capaci, ma solo di non essere penalmente perseguibili.

La trasparenza non ha esistenza separata dal pudore. La logica del «tutto a vista» non fa vedere. Opacizza lo sguardo verso la vita di chi guarda, ma anche di chi si fa guardare. Chi svolge una funzione politica, deve essere in grado di mettere a riparo la sua vita privata dalla propria indiscrezione piuttosto che dagli sguardi indiscreti degli altri. Per proteggere la configurazione intima, sperimentale dei suoi desideri, emozioni, pensieri, gusti e preferenze relazionali. Non solo per non confondere i cittadini, incitandoli al voyeurismo. È cosa importante che arrivi alla formulazione delle sue posizioni pubbliche in modo il più possibile indipendente, libero da intrusioni, senza sentirsi esaminato mentre è ancora in corso la loro definizione. Diversamente il suo discorso è opaco, non trasparente.

L’omicida di Vasto è stato portato al suo irreparabile gesto di «gladiatore» sugli scudi dei suoi commilitoni di network, per trovarsi solo, privo perfino di sé stesso, nel momento in cui l’ha compiuto. La sua immedesimazione con il personaggio del film di Ridley Scott, vendicatore dell’uccisione deliberata e feroce della moglie e dei figli, è frutto dell’esaltazione: una reazione all’impossibilità di arrivare alla più personale delle esperienze, quella del lutto, che è stata alimentata dalla spudoratezza di un gruppo folto di suoi concittadini. La mancanza di ritegno da parte di coloro che hanno usato una donna morta, e il dolore del marito, per mettere in mostra e scaricare i loro aspecifici impulsi di vendetta, rientrerà nel suo anonimato, cullandosi nel carattere impersonale della sua esistenza.

L’uccisore dovrà elaborare, se ne sarà capace, la grave indelicatezza compiuta nel confronti dell’amata. Per averla data in pasto al fantasma collettivo della «martire», che santificando la donna la violenta. Soprattutto per essersi presentato al suo cospetto (con quella licenza che l’amore strappa alla morte), chiuso nel suo guscio narcisistico di guerriero.