La Procura di Catania contesta l’associazione a delinquere, finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, alla Ong spagnola Pro Activa, solo per aver soccorso in acque libiche un’imbarcazione con alcune centinaia di migranti a bordo e sbarcato 218 migranti nel porto italiano di Pozzallo. Siamo di fronte a un fatto di inaudita gravità, che scardina tutti i pilastri del diritto umanitario, da collocare, sul piano etico e giuridico, allo stesso livello dell’accordo Italia-Libia (Paese che non ha mai ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati) o del codice di condotta delle Ong voluto dal ministro Minniti.

C’è anche l’aggravante del sequestro di una nave destinata al salvataggio di vite in mare, che avrà il solo effetto di impedire o ritardare, appunto, l’attività di ricerca e soccorso, alla faccia del codice di procedura penale, il cui art. 321 autorizza il sequestro preventivo «quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati».

Il tema, dunque, è capire se possa costituire reato la condotta di una Ong che si rifiuta di consegnare i migranti alla guardia costiera libica, dopo essere stata da quest’ultima attaccata e che, previa autorizzazione della guardia costiera italiana, approda a Pozzallo col suo carico umano.

Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, previsto dall’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs. 286/98), punisce con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa di 15.000 euro chiunque «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente».

Difficile, anche abbracciando la più spregiudicata furia ideologica securitaria, poter affermare che la nave di una Ong dedita al salvataggio di persone in mare possa essere imputata di avere promosso, diretto, organizzato, finanziato o effettuato il trasporto di stranieri, come se si trattasse di una banda di trafficanti di esseri umani. Qualsiasi dubbio è fugato dal secondo comma dell’art. 12: «Non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato».

Del resto la Cassazione (sentenza del 10/12/2014, n. 3345) ha chiarito che «è bene non dimenticare che in tali evenienze l’intervento di soccorso è doveroso, ai sensi delle Convenzioni internazionali sul diritto del mare, anche una volta avuto contezza dell’illiceità dell’immigrazione». L’art. 12 non è, dunque, una monade che viva di vita propria nell’ordinamento giuridico dello Stato, ma si colloca in un contesto complesso.

I migranti trasportati, finché la competente Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale non decide sul loro status, sono tutti potenziali richiedenti asilo, senza contare i minori: nessuno di loro è giuridicamente irregolare o «clandestino». Anzi la loro condizione è l’esatto contrario della clandestinità, poiché essi fuggono, per guerra o per fame, attraverso gli unici canali possibili e noti: il mare e il deserto.

Sempre la Cassazione in una sentenza (16/11/2016, n. 53691) riguardante un procedimento penale a carico di alcuni trafficanti di esseri umani ha chiarito che alcuni migranti arrivati in Italia erano «soggetti giunti nel paese a seguito delle operazioni di aiuto in acque internazionali e legittimamente trasportati sul territorio nazionale per necessità di pubblico soccorso, quindi da non considerarsi quali migranti entrati illegalmente».

Le navi delle Ong compiono perciò un’attività umanitaria doverosa ed eticamente meritoria: chi le incrimina compie un atto giuridicamente abnorme ed eticamente censurabile. Cerchiamo di non abituarci, con ignavia, sonnolenza o indifferenza, a questi strappi: quando inizia a sanguinare il diritto umanitario, è la stessa democrazia ad ammalarsi.

*deputato di Possibile e avvocato immigrazionista