La Corte Costituzionale di Karlsruhe nella sentenza del 29 aprile 2021 ha accolto il ricorso presentato da quattro cittadini con il supporto delle associazioni Fridays For Future, Bund e Greenpeace, dichiarando parzialmente incostituzionale la prima legge per la protezione del clima varata in Germania alla fine del 2019. La Corte ha rilevato che la legge, che prevede entro il 2030 una riduzione di CO2 del 55% e la neutralità climatica entro il 2050, non dice nulla sull’ultimo step, corrispondente ai vent’anni tra il 2030 e il 2050. Il richiamo all’intervento del legislatore è motivato dalla lesione delle libertà fondamentali, sancite dalla Costituzione, di chi vivrà allora, ossia i giovani di oggi e quelli che nasceranno.

La sentenza invita i leader politici a non pensare solo in cicli a breve termine, ma a garantire i diritti umani fondamentali a lungo termine, legandoli allo sviluppo sostenibile. In questo senso è stata accolta dalle associazioni ambientaliste come un passaggio decisivo in direzione di un diritto al futuro.

L’intervento sulla legge sul clima è interessante perché sotto l’apparenza del richiamo al deficit di una legge esistente fa passare un’innovazione normativa. In particolare, porta allo scoperto la differenza tra una politica immersa nella gestione del presente e una politica che guarda lontano, tra le dichiarazioni solenni (non solo quelle dei vari accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni di gas serra, ma anche quelle sulla nuova organizzazione del lavoro alla luce delle nuove disuguaglianze) che restano nel vago per quanto riguarda la loro attuazione o si accontentano di elargizioni gentilmente concesse. L’appello alla concretezza è un messaggio preciso che legittima i cittadini a richiedere interventi efficaci: c’è un diritto/dovere al futuro contro la generosità dal respiro corto. L’apprezzamento dei movimenti e associazioni ambientalisti rimette in gioco parole chiave del vocabolario legato alla crisi globale – diritto, futuro, nuove generazioni – e invita a ripensarle.

L’idea di un diritto al futuro cambia molte cose, innanzitutto la percezione dei giovani di oggi. Essi parlano in nome delle generazioni future dicendo: siamo qui, eccoci, non siamo altri distanti nel tempo, anonimi destinatari di promesse, siamo presenti e il nostro diritto al futuro legittima e dà nuovo significato alle forme di attivismo nate con il movimento Fridays for future. Il diritto al futuro ha un’impronta direttamente politica perché lega insieme un attivo interesse per la preservazione del mondo come pianeta Terra e insieme come sfera pubblica. Si potrebbe parlare, giocando un po’ con le parole, della creazione di un «clima» sulla scena pubblica che interpella le istituzioni e esalta la funzione di «dare inizio a qualcosa di nuovo» propria dell’azione politica secondo la lezione da non dimenticare di Hannah Arendt.

Resta il fatto che l’espressione diritto al futuro spinge a chiedersi quale sia il futuro a cui si avrebbe diritto. Da tempo, non solo a causa della pandemia, si è diffusa l’idea che i giovani non credano al futuro, meglio, non abbiano più un futuro, lo vedano come uno spazio ignoto e vuoto di prospettive e si assestino su un presente evanescente, incerto, sospeso. Greta Thunberg ha accusato le attuali élites politiche di aver «rubato» il futuro ai giovani e il suo appello inchioda con una certa violenza al «non c’è più tempo», «ormai è troppo tardi», spingendosi persino a evocare il panico come salutare presa d’atto della situazione.

Parlare di diritto al futuro esprime rabbia, risentimento, bisogno di risarcimento? Il futuro è questione di conflitto generazionale, di «noi» (gli attuali potenti, debitori insolventi e colpevoli della devastazione del pianeta) e di «loro» (chi verrà al mondo incolpevole e sarà costretto a pagare il conto)? In realtà, non c’è solo un noi contrapposto a loro, ma un noi che riguarda la condizione umana di interdipendenza, l’impossibilità di tirarsi fuori da un destino comune che espone l’intera umanità a rischi globali. Non dimentichiamo che con la pandemia il noi è esploso nelle nostre esistenze come legame sociale in un comune destino di vulnerabilità.

Da questo punto di vista, il futuro è un cantiere comune, uno spazio che nessuno può controllare e governare da sovrano, presenta il conto di scelte individuali e collettive rovinose, chiama all’urgenza delle decisioni e delle scelte, ma, malgrado tutto, viene incontro, genera desideri e visioni, stimola l’immaginazione e invita ad agire. I giovani sono il futuro, è innegabile, ma devono anche credere in un futuro se vogliono essere coinvolti in decisioni importanti per l’intera umanità.

* La filosofa Laura Boella terrà l’incontro «Il diritto al futuro» sabato 16 ottobre alle ore 14:30 alla Mole Vanvitelliana di Ancona nell’ambito di KUM! Festival