Domanda da 1 milione di dollari: ma l’establishment dei repubblicani avrà i cojones per fermare Trump alla convenzione di Cleveland? Domanda da 10 milioni di dollari: se Trump fosse il candidato, potrebbe vincere?

A queste domande neppure gli esperti più titolati, come il politologo Larry Sabato che ha una rubrica modestamente intitolata «Sfera di cristallo», sanno rispondere.

La ragione è semplice: nel 2016, in un certo senso, tutto può accadere, con gran delizia di giornali e televisioni, che tifano perché il grande circo delle presidenziali continui fino all’8 novembre (giorno delle elezioni) e magari anche oltre, come accadde con i nuovi conteggi delle schede, nel 2000.

Prima domanda: si può ancora fermare Trump, dopo le vittorie di martedì in stati importanti come la Florida e l’Illinois?

La risposta è sì, ma ci vorrebbe una buona dose di coraggio politico per farlo. Il metodo è semplice: poiché i delegati dei vari stati alla convenzione non sono legalmente obbligati a votare per il candidato sulla cui lista sono stati eletti, nulla impedisce di cercare di convincere alcune decine di loro che «per il bene del partito» dovrebbero votare non per Trump ma per un personaggio che abbia maggiori probabilità di successo contro Hillary Clinton.

Certo, la grande maggioranza si rifiuterebbe ma Trump è un outsider (sia pure carismatico) e le vecchie volpi della politica, se davvero vogliono, sanno trovare argomenti convincenti (anche monetari, se necessario: la politica americana non è mai stata affare da chierichetti).

Il problema è che negare la candidatura a un personaggio che ha ottenuto, supponiamo, il 49% dei voti popolari non è semplice. Soprattutto, occorrerebbe farlo in modo che quei milioni di elettori repubblicani che durante le primarie si sono espressi per Trump restino comunque fedeli al partito in novembre e vadano a votare per Cruz, per Kasich o per un altro candidato oggi sconosciuto. Difficile.

Una convenzione «manovrata» a Cleveland è possibile ma occorrerebbe un grado di coesione del partito, e una chiarezza di idee sul da farsi, che in questo momento assolutamente non si vedono.

Per esempio, sarebbe necessario trovare una personalità popolare, amata da tutto il partito, gradita agli elettori, con idee forti, da contrapporre a Trump: Cruz è detestato dall’establishment forse più dello stesso Trump e né lo scialbo Mitt Romney, né il governatore dell’Ohio John Kasich sembrano corrispondere all’identikit. L’esito più probabile è quindi che Trump ce la faccia e che il partito lo accetti come proprio. Massimo sostegno, le sue idee sono anche le nostre…

Passiamo alla seconda domanda, non a caso da 10 milioni di dollari: un miliardario disprezzato dalla maggioranza degli americani può farcela a diventare presidente?

In teoria no, salvo che quest’anno anche il suo avversario sia poco amato: per la precisione il 54% degli americani ha un’opinione negativa di Hillary Clinton. Il che significa che, per la prima volta da tempo immemorabile, corrono per la Casa bianca due esponenti politici di cui gli americani farebbero volentieri a meno.

Questo ci dice qualcosa sullo stato di salute della democrazia laggiù? Ma torniamo al problema di fondo: Trump può vincere?

In un paese come gli Stati Uniti, a bassa partecipazione elettorale (raramente sopra il 50% degli aventi diritto) vince non tanto chi conquista gli elettori incerti (pochissimi) quanto chi mobilita i propri sostenitori in modo più efficace. In quest’ottica, è effettivamente possibile che Hillary Clinton non attiri un gran numero di Democratici ai seggi (i giovani che hanno votato Sanders, per esempio) mentre l’elettorato repubblicano, in odio a Obama, ai democratici e a Hillary, vada a votare per Trump compatto.

E’ un’ipotesi per ora impossibile da verificare, ma è un fatto che la partecipazione alle primarie repubblicane 2016 è fortemente aumentata, mentre quella alle primarie democratiche, nonostante la presenza di Sanders, è diminuita: in Florida hanno votato oltre 2 milioni di repubblicani e solo 1,6 milioni di democratici; in Ohio, 2 milioni di repubblicani e 1,2 milioni di democratici. Questo è un potenziale pericolo per la Clinton perché la partecipazione al voto è determinante in questi swing states, oltre che in Nevada e in Virginia.

Naturalmente, è possibile anche il contrario: di fronte a un candidato razzista e xenofobo come Trump, molti elettori repubblicani potrebbero starsene a casa, votare per un indipendente (le voci di un terzo candidato continuano a circolare) o addirittura scegliere Hillary Clinton, che in fondo si è fatta fotografare abbracciata a George W. Bush non più tardi di tre giorni fa. La sua reputazione di democratico centrista, che ha votato a favore della guerra in Iraq ed è in buoni rapporti con Wall Street permetterebbero senz’altro ai repubblicani moderati di votarla.

Per sapere l’esito della nostra scommessa occorrerà decisamente aspettare la notte dell’8 novembre.